APRILE 2022 La giurisprudenza amministrativa in materia di diritti edificatori

  1. La giurisprudenza amministrativa in materia di diritti edificatori: brevi cenni

Appare opportuno concludere la presente trattazione richiamando, per brevi cenni, alcune pronunce amministrative rilevanti in ordine al tema dei diritti edificatori, tanto con riguardo alla cd. «cessione di cubatura», quanto in relazione alle tecniche di pianificazione urbanistica fin qui attenzionate.

Con riferimento al primo aspetto si segnala, in particolare, come già in passato la giurisprudenza amministrativa abbia ritenuto che lo sfruttamento su un fondo della volumetria espressa da un altro terreno (cd. «cessione di cubatura») richiede che i due lotti siano urbanisticamente omogenei e fisicamente contigui. La contiguità, in particolare, sussisterebbe non solo nel caso di lotti confinanti o fronteggianti per tutta la linea di confine, ma anche quando i medesimi siano materialmente vicini tra loro o siano congiunti in qualche punto seppure non materialmente accomunati per tutta la loro estensione e lungo una medesima linea di confine: non postulando necessariamente che si tratti di terreni confinanti o adiacenti, è stata dunque ritenuta sufficiente una significativa vicinanza, tale da concretare omogeneità di assetti costruttivi e di densità edilizia nella zona interessata[1].

Con riguardo alle tecniche di pianificazione analizzate, si evidenzia che, in ordine alla distinzione tra i meccanismi perequativi e compensativi, il T.A.R. lombardo ha recentemente affermato che la perequazione, disciplinata dall’articolo 11, commi 1 e 2 della L.R. n. 12/2005 ha la finalità precipua di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica e, come tale, è esercitata discrezionalmente dall’Amministrazione comunale, mentre l’istituto della compensazione, di cui al terzo comma della medesima norma, presuppone l’esistenza di un vincolo espropriativo e consiste in una procedura alternativa all’esproprio: è stato ritenuto, in particolare, che a differenza della perequazione, la cessione compensativa si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto alle quali l’Amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo e alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva; in queste aree, il Comune appone il vincolo pre-espropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione, con la possibilità di ristorare il proprietario mediante l’attribuzione di «crediti compensativi» od aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario[2].

Si è così posto l’accento su come l’istituto della compensazione – a differenza della perequazione – non avendo quale precipua finalità quella di mitigare le suddette disuguaglianze, sia volto ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, remunerazione che – come si è ampiamente provveduto ad esplicare nell’ambito della presente trattazione – consiste nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti ai proprietari delle aree destinate all’edificazione, anche mediante cessione onerosa.

Si è affermato, altresì, che i modelli configurati dal legislatore regionale non hanno carattere stringente ma possono essere, per determinati aspetti, adattati dai Comuni al fine di assecondarli alle specifiche esigenze di pianificazione: gli istituti della perequazione e della compensazione urbanistica trovano, difatti, fondamento in due pilastri fondamentali del nostro ordinamento, che travalicano le previsioni contenute nelle diverse leggi regionali e, precisamente, nella potestà conformativa del diritto di proprietà di cui è titolare l’Amministrazione nell’esercizio della propria attività di pianificazione, ai sensi dell’articolo 42, comma 1 della Costituzione e, al contempo, nella possibilità di utilizzare modelli consensuali per il perseguimento di finalità di interesse pubblico, secondo quanto previsto dagli articoli 1, comma 1-bis e 11 della L. n. 241/1990.

Si sono, pertanto, ritenuti possibili adattamenti dei modelli previsti dalla legislazione regionale al fine di soddisfare le esigenze delle Amministrazioni locali e di realizzare l’interesse pubblico, rilevandosi altresì come tale interpretazione si ponga in linea con i rilievi espressi da una parte della dottrina che auspica l’astensione dei legislatori regionali dal dettare normative stringenti in materia, al fine di evitare che in tal modo si imbriglino eccessivamente le scelte compiute in sede di pianificazione[3].

 

 

[1] Consiglio di Stato sez. V, 20/08/2013, n. 4195; T.A.R. Milano (Lombardia), sez. II, 07/11/2014, n. 2684; cfr. https://www.lavoripubblici.it/news/Cessione-dei-diritti-edificatori-ovvero-trasferimento-di-cubatura-4-La-giurisprudenza-amministrativa-22527. Più di recente, nel solco del medesimo filone interpretativo, è stato ritenuto che l’asservimento della volumetria da un terreno ad un altro, finalizzato a lucrare maggiore capacità edificatoria, è consentito solo con riferimento ad aree omogenee, oltre che contigue (ossia collocate in rapporto di effettiva e significativa vicinanza), e, cioè, con riferimento ad aree aventi la medesima destinazione urbanistica, posto che, diversamente, verrebbero ad alterarsi le caratteristiche tipologiche di zona tutelate dalle norme urbanistiche (T.A.R. Salerno, sez. II, 10/04/2020, n. 412).

[2] T.A.R. Milano (Lombardia), sez. II, 03/05/2021, n. 1098.

[3] Cfr. T.A.R. Milano (Lombardia), sez. II, 13/04/2021, n. 925; T.A.R. Milano (Lombardia) sez. II, 05/03/2020, n. 444; T.A.R. Milano (Lombardia) sez. II, 11/06/2014, n. 1542; sulla adattabilità dei modelli di perequazione e compensazione urbanistica previsti dal legislatore regionale da parte dei Comuni, in relazione alle loro specifiche esigenze, cfr. anche T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. IV, 08/11/2018, n. 2529, che ha inoltre escluso l’illegittimità di indici perequativi o compensativi in caso di mera difficoltà pratica di utilizzo dei diritti edificatori, essendo tali indici illegittimi solo se risulta provata l’impossibilità del cd. «atterraggio» del diritto edificatorio.