Dicembre 2021 – Casistica distanze

Dicembre 2021 – Casistica distanze

La materia delle distanze viene disciplinata (anche) dal Codice Civile al fine di regolamentare i rapporti di vicinato. In materia di costruzioni sul confine, la legge si ispira al principio della prevenzione temporale, desumibile dal combinato disposto degli artt. 873, 874, 875 e 877 c.c., secondo il quale chi costruisce per primo determina, in concreto, le distanze da osservare per le altre costruzioni da erigersi sui fondi vicini.

Tanto chiarito in termini generali, si intende ora concentrarsi sull’analisi della disciplina codicistica prevista ai successivi articoli 878, 889, 890 e 892 c.c. alla luce di alcune recenti pronunce della giurisprudenza in materia.

L’art. 878 c.c., nel disciplinare la costruzione di un muro di cinta ovvero ogni altro muro isolato che non abbia altezza superiore a 3 metri, dispone che lo stesso non deve essere costruito rispettando le distanze ex art. 873 del Codice Civile.  Ciò detto, ai fini dell’esenzione dal rispetto delle distanze legali imposte dal succitato art. 873 c.c., lo stesso deve essere essenzialmente destinato a recingere una determinata proprietà onde separarla dalle altre, non superare un’altezza di tre metri ed avere entrambe le facce isolate da altre costruzioni.

Sul punto, la sentenza Corte di Cassazione, sez. I,  26 febbraio 2021, n. 5335, ha affermato che “L’esenzione del rispetto delle distanze tra costruzioni, come previsto dall’art. 878 del codice civile, si applica sia ai muri di cinta, qualificati dalla destinazione alla recinzione di una determinata proprietà, dall’altezza non superiore a tre metri, dall’emersione dal suolo nonché dall’isolamento di entrambe le facce da altre costruzioni, sia ai manufatti che siano comunque idonei a delimitare un fondo ed abbiano ugualmente la funzione e l’utilità di demarcare la linea di confine e di recingere il fondo“.

L’art. 889 c.c., rubricato “Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi”, dispone che chiunque voglia aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, debba osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette. Per i tubi d’acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.

Tale norma mira a preservare il fondo vicino dai pericoli e dai pregiudizi derivanti dall’esistenza delle opere anzidette secondo una presunzione assoluta di danno. Pertanto, non è necessario effettuare alcun accertamento rispetto al caso concreto in quanto “appare applicabile il medesimo principio stabilito in materia di distanze fra costruzioni secondo il quale le distanze fra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di guisa che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell’applicazione della disciplina in materia per equo contemperamento degli appositi interessi”. (cfr. Tribunale Torino, sez. II, 23 giugno 2021, n. 3124).

D’altra parte, la Corte di Cassazione ha precisato che “per ogni altra opera non espressamente menzionata, ma assimilabile a quelle indicate nella norma richiamata (nella specie, pozzetti di ispezione della condotta di scarico delle acque nere), la potenzialità dannosa, in relazione alla proprietà contigua, non è presunta ma va accertata in concreto, con onere della prova a carico della parte istante. (cfr. Corte di Cassazione civile, sez. VI, 9 giugno 2020, n. 10948).

Per quanto attiene all’installazione di canne fumarie di camini e stufe e, in genere, di manufatti o materiali potenzialmente pericolosi, l’art. 890 c.c. prescrive di rispettare i regolamenti e, in genere, di non arrecare danno ai vicini.

Per constante orientamento della giurisprudenza, il rispetto delle distanze previste dall’art. 890 c.c. è collegata a una presunzione di assoluta nocività e pericolosità che prescinde da ogni accertamento concreto nel caso in cui vi sia un regolamento comunale che stabilisca la distanza medesima, mentre in difetto di una disposizione regolamentare si ha una presunzione relativa, che può essere superata ove la parte interessata al mantenimento del manufatto dimostri che, mediante opportuni accorgimenti, può ovviarsi al pericolo od al danno del fondo vicino.

A tale proposito, la recente sentenza Cassazione civile, sez. VI, 3 giugno 2021, n.15441, ha affermato che “La ratio dell’art. 890 c.c. è quella di evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni e, trattandosi di tetti che coprono il medesimo fabbricato ad altezza diversa, tale scopo può essere raggiunto avendo come riferimento, per il calcolo delle distanze, il c.d. “colmo del tetto”, cioè la parte più alta dell’intero fabbricato e non già il tetto di copertura della porzione più bassa del medesimo fabbricato”.

Da ultimo, l’art. 892 c.c., nel disciplinare le distanze minime tra le piante ed il muro di confine, suddivide gli alberi e le piantagioni in cinque categorie, vale a dire: 1) gli alberi di alto fusto; 2) gli alberi di non alto fusto; 3) le viti, gli arbusti, le siepi vive e le piante da frutto di altezza non superiore a 2,50 metri; 4) le siepi che si recidono periodicamente vicino al ceppo; 5) le siepi di robinie.

Le distanze fissate dalla norma de qua  non solo sono finalizzate ad impedire l’occupazione del fondo altrui da parte delle radici degli alberi posti in prossimità del confine, ma sono anche dirette a determinare lo spazio ragionevolmente occorrente a ciascun tipo di albero per crescere in condizioni di normale rigoglio (cfr. Cassazione civile sez. II, 6 marzo 2003, n. 3289). La distanza minima mira inoltre ad impedire che la parte fuori terra degli alberi cagioni un danno al vicino per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità. (cfr. Corte di Cassazione, 26 febbraio 2003, n. 2865).