GENNAIO 2024 Attività edilizie specifiche: recupero sottotetti in Lombardia. I regimi amministrativi dei titoli edilizi

Attività edilizie specifiche: la normativa di “favore” per il recupero dei sottotetti in Lombardia.

Il legislatore regionale ha normato con una serie di disposizioni speciali gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti al fine di contenere il consumo di nuovo territorio e di favorire la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici, delineando agli artt. 63, 64 e 65 della L.R. n. 12/2005 i presupposti, la disciplina, nonché i relativi ambiti di esclusione.

Nell’ambito di questa disciplina, l’art. 63 definisce i sottotetti quali “volumi sovrastanti l’ultimo piano degli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura[1] e ne condiziona il recupero al rispetto dei limiti fissati dai commi 2 e 4 in edifici destinati per almeno il 25% della superficie lorda di pavimento (S.l.p.) complessiva a residenza[2]; il comma 3 individua quale altro requisito di ammissibilità di tali interventi la condizione che “gli edifici interessati siano serviti da tutte le urbanizzazioni primarie, ovvero in presenza di impegno, da parte dei soggetti interessati, alla realizzazione delle suddette urbanizzazioni, contemporaneamente alla realizzazione dell’intervento ed entro la fine dei relativi lavori”.

I commi 5 e 6 dell’art. 63 anticipano e cominciano ad introdurre l’impostazione derogatoria della normativa sul recupero dei sottotetti – espressa pienamente al successivo art. 64 – per il profilo igienico-sanitario: infatti, a mente del comma 5 “Il recupero abitativo dei sottotetti è consentito, previo titolo abilitativo, purché siano rispettate tutte le prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti le condizioni di abitabilità previste dai regolamenti vigenti, salvo quanto disposto dal comma 6”, il quale consente, in deroga alla regola generale delle altezze minime, il recupero abitativo dei sottotetti “purché sia assicurata per ogni singola unità immobiliare l’altezza media ponderale di metri 2,40, ulteriormente ridotta a metri 2,10 per i comuni posti a quote superiori a seicento metri di altitudine sul livello del mare, calcolata dividendo il volume della parte di sottotetto la cui altezza superi metri 1,50 per la superficie relativa[3]”.

L’art. 64, dopo aver previsto al comma 1 che  “Gli interventi edilizi finalizzati al recupero volumetrico dei sottotetti possono comportare l’apertura di finestre, lucernari, abbaini e terrazzi per assicurare l’osservanza dei requisiti di aeroilluminazione e per garantire il benessere degli abitanti, nonché, per gli edifici di altezza pari o inferiore al limite di altezza massima posto dallo strumento urbanistico, modificazioni di altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde, unicamente al fine di assicurare i parametri di cui all’articolo 63, comma 6. Nei casi di deroga all’altezza massima, l’altezza minima abitabile non può essere superiore a metri 1,50. All’interno dei centri storici e dei nuclei di antica formazione deve essere assicurato il rispetto dei limiti di altezza massima degli edifici posti dallo strumento urbanistico; in assenza di limiti, l’altezza massima deve intendersi pari all’esistente”, al comma 2 classifica il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. d), aggiungendo che “esso non richiede preliminare adozione ed approvazione di piano attuativo ed è ammesso anche in deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale vigenti ed adottati, ad eccezione del reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali secondo quanto disposto dal comma 3[4]”.

Oltre alle norme derogatorie sopra ricordate, l’art. 64 contiene la disciplina di altri aspetti rilevanti degli interventi di recupero ad uso abitativo dei sottotetti quali: la dotazione di spazi per la sosta, il contributo di costruzione e la valutazione di impatto paesistico.

La dotazione di spazi per la sosta è trattata dai commi 3 e 4 ai sensi dei quali il recupero dei sottotetti volti alla realizzazione di nuove unità immobiliari è assoggettato “all’obbligo di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura prevista dagli strumenti di pianificazione comunale e con un minimo di un metro quadrato ogni dieci metri cubi della volumetria resa abitativa ed un massimo di venticinque metri quadrati per ciascuna nuova unità immobiliare.  Il rapporto di pertinenza, garantito da un atto da trascriversi nei registri immobiliari, è impegnativo per sé e per i propri successori o aventi causa a qualsiasi titolo. Qualora sia dimostrata l’impossibilità, per mancata disponibilità di spazi idonei, ad assolvere tale obbligo, gli interventi sono consentiti previo versamento al comune di una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire. Tale somma deve essere destinata alla realizzazione di parcheggi da parte del comune”; il comma 4 esclude da tale obbligo “gli interventi realizzati in immobili destinati all’edilizia residenziale pubblica di proprietà comunale, di consorzi di comuni o di enti pubblici preposti alla realizzazione di tale tipologia di alloggi”.

Il comma 7 disciplina invece il contributo di costruzione dovuto per gli interventi di recupero dei sottotetti prevedendo “la corresponsione degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché del contributo commisurato al costo di costruzione, calcolati sulla volumetria o sulla superficie lorda resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di ristrutturazione edilizia. I comuni possono deliberare l’applicazione di una maggiorazione, nella misura massima del dieci per cento del contributo di costruzione dovuto, da destinare obbligatoriamente alla realizzazione di interventi di riqualificazione urbana, di arredo urbano e di valorizzazione del patrimonio comunale di edilizia residenziale”, con l’aggiunta che, per incentivare il recupero dei sottotetti, ai sensi del successivo comma 7-bisil recupero dei sottotetti con superficie lorda fino a quaranta mq., costituenti in base al titolo di proprietà una pertinenza di unità immobiliari collegata direttamente a essi, se prima casa, è esente dalla quota di contributo commisurato al costo di costruzione di cui all’articolo 16, comma 3, del d.p.r. 380/2001, dal reperimento degli spazi a parcheggi pertinenziali e delle aree per servizi e attrezzature pubbliche e/o monetizzazione”.

La valutazione di impatto paesistico è normata dai commi 8 e 9, i quali prescrivono che “I progetti di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, che incidono sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici e da realizzarsi in ambiti non sottoposti a vincolo paesaggistico, sono soggetti all’esame dell’impatto paesistico previsto dal Piano Territoriale Paesistico Regionale. Il giudizio di impatto paesistico è reso dalla commissione per il paesaggio di cui all’articolo 81, ove esistente, anche con applicazione del comma 5 del medesimo articolo, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla richiesta formulata dal responsabile del procedimento urbanistico, decorso il quale il giudizio si intende reso in senso favorevole”; “La segnalazione certificata di inizio attività deve contenere l’esame dell’impatto paesistico e la determinazione della classe di sensibilità del sito, nonché il grado di incidenza paesistica del progetto, ovvero la relazione paesistica o il giudizio di impatto paesistico di cui al precedente comma 8”.

Infine, ad ulteriore rafforzamento della finalità abitativo-residenziale, il comma 10 dell’art. 64 della normativa de qua limita la facoltà di utilizzazione del sottotetto recuperato prevedendo che “i volumi di sottotetto già recuperati ai fini abitativi in applicazione della legge regionale 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti), ovvero della disciplina di cui al presente capo, non possono essere oggetto di mutamento di destinazione d’uso nei dieci anni successivi al conseguimento dell’agibilità”.

A fronte della disciplina dettata dagli articoli che lo precedono, l’art. 65 dà ai comuni uno spazio di manovra per limitare il recupero disponendo che “le disposizioni del presente capo non si applicano negli ambiti territoriali per i quali i comuni, con motivata deliberazione del Consiglio comunale, ne abbiano disposta l’esclusione, in applicazione dell’articolo 1, comma 7, della legge regionale 15 luglio 1996, n. 15 (Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti”(comma 1), fermo restando che “i comuni, con motivata deliberazione, possono ulteriormente disporre l’esclusione di parti del territorio comunale, nonché di determinate tipologie di edifici o di intervento, dall’applicazione delle disposizioni del presente capo” (comma 1-bis), nonché “individuare ambiti territoriali nei quali gli interventi di recupero ai fini abitativi dei sottotetti, se volti alla realizzazione di nuove unità immobiliari, sono, in ogni caso, subordinati all’obbligo di reperimento di spazi per parcheggi pertinenziali nella misura prevista dall’articolo 64, comma 3” (comma 1-ter)

La disposizione in esame si chiude sancendo al comma 1-quater che “Le determinazioni assunte nelle deliberazioni comunali di cui ai commi 1, 1-bis e 1-ter hanno efficacia non inferiore a cinque anni e comunque fino all’approvazione dei PGT ai sensi dell’articolo 26, commi 2 e 3. Il piano delle regole individua le parti del territorio comunale nonché le tipologie di edifici o di intervento escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo”, e al comma 1-quinquies  che “In sede di redazione del PGT, i volumi di sottotetto recuperati ai fini abitativi in applicazione della l.r. n. 15/1996, ovvero delle disposizioni del presente capo, sono computati ai sensi dell’articolo 10, comma 3, lettera b)”.

 

I regimi amministrativi dei titoli edilizi con particolare riferimento all’ambito applicativo degli artt. 6-bis e 22 del D.P.R. n. 380/2001.

La corretta collocazione dei vari interventi edilizi all’interno di una delle categorie elencate dal già richiamato art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 risulta essenziale in quanto il legislatore ha ricollegato alle stesse differenti regimi e procedure autorizzative, la cui qualificazione assume estrema importanza ai fini dell’assoggettamento all’uno o all’altro regime abilitativo nonché, come vedremo, sotto il profilo delle conseguenze di eventuali abusi od errori.

In relazione alle previsioni concernenti il rilascio dei titoli abilitativi, il D.P.R. n. 380/2001 successivamente alla sua entrata in vigore ha subito ricorrenti modifiche con cui è stato riorganizzato il sistema, oggi articolato in cinque livelli:

  1. i) interventi in attività edilizia libera elencati dall’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo né alcuna specifica comunicazione (salvo quanto previsto dall’art. 6, comma 1 lett. e-bis) che assoggetta le opere stagionali e quelle dirette a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee alla comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale);
  2. ii) interventi subordinati a Comunicazione di inizio lavori asseverata (“CILA”) ex 6-bis del D.P.R. n. 380/2001 che, quale titolo di valore residuale, ricomprende tutti gli interventi edilizi non rientranti nelle altre categorie;

iii) interventi assoggettati a Permesso di costruire come puntualmente elencati dall’art. 10 del D.P.R. n. 380/2001, la cui disciplina è dettata dagli artt. 10 a 21 del D.P.R. n. 380/2001;

  1. iv) interventi assoggettati a Segnalazione certificata di inizio attività (“SCIA”), elencati dall’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001 e disciplinati dagli artt. 22 e 23-bis del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 19 della legge n. 241/1990;
  2. v) interventi per cui è possibile presentare la S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire come regolamentati dall’art. 23 del D.P.R. n 380/2001.

Avendo fornito, seppur a grandi linee, un quadro generale di quello che è il regime dei titoli edilizi, si ritiene ora di porre un focus sugli interventi legislativi in materia, rappresentativi della tendenza verso una maggiore liberalizzazione degli interventi edilizi mediante la sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali – basati sull’emanazione di provvedimenti espressi – con nuovi schemi ispirati alla liberalizzazione delle attività economiche private e alla semplificazione procedimentale.

Circoscrivendo dunque l’attenzione ai titoli edilizi diversi dal permesso di costruire, l’innovazione più significativa si è avuta con l’introduzione nel sistema della Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) – quale evoluzione del precedente istituto della DIA contenuta nel previgente art. 19 della legge n. 241/1990 e dall’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001 nella sua versione originaria– con efficacia immediatamente legittimante giusta il disposto dell’art. 19, comma 2, come modificato dal D.L. n. 126/2016 (cd. “Decreto Scia 1”), che ha subordinato l’esercizio dell’attività edilizia ad un controllo ex post in cui l’Amministrazione competente deve esperire la verifica dei presupposti e requisiti per l’avvio dell’attività e se del caso adottare i provvedimenti inibitori[5].

Di qui, assume particolare rilevanza la differenziazione fra interventi edilizi soggetti esclusivamente a SCIA, come normati dall’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, e quelli per i quali questa può essere scelta, quale titolo abilitativo in luogo del permesso di costruire ordinariamente richiesto in quanto, in quest’ultimo caso, l’art. 23, comma 1, nel disciplinare un apposito procedimento finalizzato al perfezionamento del titolo abilitativo differente da quello ordinario stabilito dall’art. 19 della legge n. 241/1990, prevede che la segnalazione va presentata allo sportello unico dell’edilizia “almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori”.

Sulla scorta di quanto sopra, l’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, come riformulato per opera del D.lgs. n. 222/2016 (cd. “Decreto Scia 2”), dispone che “Sono realizzabili mediante la segnalazione certificata di inizio di attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente: a) gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1 lett. b), qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio o i prospetti; b) gli interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all’art. 3, comma 1 lett. c) qualora riguardino le parti strutturali dell’edificio; c)gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1 lett. d) diversi da quelli indicati nell’art. 10, comma 1 lett. c)”.

Del pari, sono realizzabili mediante SCIA: “le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. […]” (comma 2); nonché “le varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di settore” (comma 2-bis).

Inoltre, in aggiunta alle ipotesi previste dalla normativa nazionale, ai sensi del comma 4 “Le regioni a statuto ordinario con legge possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui ai commi precedenti. Restano, comunque, ferme le sanzioni penali previste all’articolo 44[6]”.

Resta fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela storico-artistica, paesaggistico-ambientale o dell’assetto idrogeologico, ai sensi dell’art. 22, comma 6, “La realizzazione degli interventi di cui al presente Capo […] è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell’ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 42/2004”; infine, al comma 7 viene specificato che “E’ comunque salva la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al presente Capo, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione di cui all’articolo 16, salvo quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 23. In questo caso la violazione della disciplina urbanistico-edilizia non comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 44 ed è soggetta all’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 37”.

A sua volta l’art. 23 del D.P.R. n. 380/2991 prevede che possono essere realizzati mediante a SCIA in alternativa al permesso di costruire “a) gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c); b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; qualora i piani attuativi risultino approvati anteriormente all’entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001, n. 443, il relativo atto di ricognizione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza si prescinde dall’atto di ricognizione, purché il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l’esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate; c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche”.  In aggiunta, la norma in parola prevede che “Gli interventi di cui alle lettere precedenti sono soggetti al contributo di costruzione ai sensi dell’articolo 16. Le regioni possono individuare con legge gli altri interventi soggetti a segnalazione certificata di inizio attività, diversi da quelli di cui alle lettere precedenti, assoggettati al contributo di costruzione definendo criteri e parametri per la relativa determinazione[7].

L’esame degli interventi edilizi soggetti a titoli abilitativi alternativi al permesso di costruire richiede poi di soffermarsi sull’ambito applicativo della Comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) con cui il legislatore ha introdotto nel comparto edilizio una forma ancora più elastica di liberalizzazione che, in virtù della modifica operata dal richiamato D.lgs. n. 222/2016, ha attribuito a tale titolo un carattere general-residuale rispetto alle attività pienamente libere, alla SCIA edilizia ed al permesso di costruire.

Con tale novella, il legislatore ha abbandonato l’opzione normativa di cui al previgente art. 6, comma 4 –  che individuava specificamente le tipologie di interventi sottoposti a CILA –  prevedendo all’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001 che “gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22, sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.  Inoltre, ai sensi del comma 4 le Regioni a statuto ordinario “possono estendere la disciplina di cui al presente articolo a interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli previsti dal comma 1”.

L’attività soggetta a CILA non è sottoposta – come avviene ai sensi dell’art. 19 in materia di SCIA – ad un’attività di controllo sistemico da parte dell’Amministrazione[8]: invero, mentre nel caso della SCIA il controllo successivo integra un’attività doverosa, volta garantire il bilanciamento fra l’esercizio di un’attività liberalizzata e le esigenze di governo del territorio, la natura meramente “informativa” della comunicazione comporta che l’eventuale controllo dell’Amministrazione ha il solo scopo di verificare la rispondenza dell’intervento al paradigma legale. Ne discende che, nel secondo caso manca il potere inibitorio e ripristinatorio connaturato alla SCIA, e a fortiori non è immaginabile un potere di “riesame”, conformato secondo i parametri dell’autotutela, con cui l’Amministrazione possa anche ex post ritornare sulle proprie decisioni e impedire l’avvio o la prosecuzione dell’attività edilizia[9].

Diversa, invece, è l’ipotesi in cui la comunicazione sia utilizzata al di fuori della fattispecie legale, ossia per eseguire opere che richiedano il permesso di costruire (o la stessa SCIA) o, comunque, in violazione della normativa in materia, posto che “In tali casi l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione [art. 6-bis cit], laddove fa salve “le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia” (Adunanza della Commissione Speciale Consiglio di Stato, 04/08/2016, n. 1784).

 

[1] Secondo quanto previsto dall’art. 63, comma 1-bis L.R. n. 12/2005.

[2] L’art. 63, comma 2 della L.R. n. 12/2005 dispone che “Negli edifici, destinati a residenza per almeno il venticinque per cento della superficie lorda di pavimento (S.l.p.) complessiva, esistenti alla data del 31 dicembre 2005, o assentiti sulla base di permessi di costruire rilasciati entro il 31 dicembre 2005, ovvero di denunce di inizio attività presentate entro il 1° dicembre 2005, è consentito il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto”, e al successivo comma 4 che “Il recupero volumetrico a solo scopo residenziale del piano sottotetto è consentito anche negli edifici, destinati a residenza per almeno il venticinque per cento della S.l.p. complessiva, realizzati sulla base di permessi di costruire rilasciati successivamente al 31 dicembre 2005, o di segnalazioni certificate di inizio attività presentate successivamente al 1° dicembre 2005, decorsi tre anni dalla data di conseguimento dell’agibilità”.

[3] Sul punto, la pronuncia T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 31/05/2021, n.1351 ha chiarito che ”La previsione dell’art. 63, comma 6, della l.r. Lombardia n. 12 del 2005 rappresenta una deroga alla regola generale delle altezze minime e, in quanto tale, non può essere oggetto di interpretazione estensiva, sicché, ai fini del recupero abitativo dei sottotetti, l’altezza media ponderale di 2,40 m. deve ritenersi inderogabile a prescindere dall’innalzamento delle linee di colmo e di gronda del tetto consentito ai sensi dell’art. 64, comma 1. Laddove si ammettesse la derogabilità dell’altezza massima — contemporaneamente anche minima — si consentirebbe la realizzazione di un nuovo piano dell’edificio che snaturerebbe l’attività di recupero del sottotetto, dando vita ad un’attività di nuova costruzione e non più di ristrutturazione”.

[4] Sull’ambito applicativo di tale deroga si segnala T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. IV, 30/03/2022, n.714 secondo cui ”un intervento di recupero del sottotetto è soggetto al rispetto della disciplina statale in tema di distanze tra edifici: sussiste pertanto la necessità del rispetto delle distanze di 10 mt tra pareti finestrate di edifici fronteggianti, posto che la deroga prevista dalla norma regionale (art. 64, comma 2, l.r. n. 12/2005) ai limiti e alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale non può ritenersi estesa anche alla disciplina civilistica in materia di distanze, né può operare nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce disposizioni normative di rango superiore, a carattere inderogabile, quali sono quelle dell’art. 41-quinquies della l. 17 agosto 1942 n. 1150 e dell’art. 9 del d. min. n. 1444/1968, nella parte in cui regolano le distanze tra fabbricati”.

[5] Il deposito della SCIA attiva un potere di controllo vincolato sulla sussistenza dei requisiti e dei presupposti prescritti che l’Amministrazione competente deve esercitare, a pena di decadenza nel termine di trenta giorni dalla sua presentazione ex art. 19, comma 6-bis della legge n. 241/1990, che si può risolvere in un provvedimento di divieto solamente nel caso di impossibilità di conformare l’attività alla legge. Decorso detto termine, ai sensi dell’art. 19, comma 4, l’Amministrazione conserva il proprio potere inibitorio che può essere esercitato alle condizioni previste dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.

[6] In virtù di quanto previsto dal richiamato art. 22, comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, l’art. 33 della L.R. n. 12/2005, nel definire i regimi giuridici cui sono assoggettati gli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, alla lett. c) prevede che, oltre alla elencazione summenzionata e collocata all’interno della disciplina statale, sono subordinati alla segnalazione di inizio attività anche gli interventi di demolizione non seguiti dalla relativa ricostruzione.

[7] L’art. 33, comma 1 lett. d) della L.R. n. 12/2005 prevede che sono assoggettati alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) in alternativa al permesso di costruire anche gli interventi di ampliamento di edifici preesistenti ai fini della rigenerazione urbana.

[8] Cfr. Consiglio di Stato, comm. spec., parere 04/08/2016, n. 1784.

[9]https://www.giustizia-amministrativa.it/de/-/greco-i-titoli-edilizi-semplificati-dopo-il-decreto-legge-16-luglio-2020-n.-76.