GENNAIO 2024 – Gli standards urbanistici nella pianificazione del territorio

Gli standards urbanistici nella pianificazione del territorio

 

Nell’ambito della presente trattazione si è già ricordato che gli standards urbanistici trovano la loro fonte nella legge urbanistica n. 1150/1942, segnatamente all’articolo 41-quinquies – introdotto dall’articolo 17 della legge n. 765/1967norma che ha previsto che in tutti i Comuni, «ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati […] rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi» e che tali rapporti siano «definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici […]»: tale previsione, come visto, è stata attuata dal D.M. n. 1444/1968, che ha individuato specifiche percentuali di dotazioni infrastrutturali per ciascuna destinazione funzionale in relazione alle zone definite dalla pianificazione urbanistica comunale e che tali percentuali sono state, inoltre, talvolta declinate anche dalle norme regionali[1].

Per quanto ivi di interesse si rileva brevemente che la Regione Lombardia è intervenuta in materia dapprima con la L.R. n. 51/1975 (Disciplina urbanistica del territorio regionale e misure di salvaguardia per la tutela del patrimonio naturale e paesistico) e con la L.R. n. 1/2001 (Disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso di immobili e norme per la dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico) e successivamente ha introdotto la L.R. n. 12/2005 (Legge per il governo del territorio) la quale – abrogando la previgente normativa regionale e segnando il passaggio da un approccio di tipo “quantitativo” ad uno di tipo “qualitativo” – vede attualmente quale norma cardine rispetto all’istituto de quo l’articolo 9, che disciplina il «Piano dei servizi», uno dei tre atti che compongono il P.G.T., rectius lo strumento di pianificazione previsto dalla legge lombarda in luogo del P.R.G. ed avente la medesima funzione di consentire ai Comuni di definire la pianificazione urbanistica del proprio territorio.

 

L’articolo 9 della L.R. n. 12/2005 stabilisce invero che «i comuni redigono ed approvano il piano dei servizi al fine di assicurare una dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico e generale, le eventuali aree per l’edilizia residenziale pubblica e da dotazione a verde, i corridoi ecologici e il sistema del verde di connessione tra territorio rurale e quello edificato, nonché tra le opere viabilistiche e le aree urbanizzate ed una loro razionale distribuzione sul territorio comunale, a supporto delle funzioni insediate e previste […]» (comma 1).

 

Una previsione di assoluto rilievo è quella dettata dal comma secondo, a mente del quale «i comuni redigono il piano dei servizi determinando il numero degli utenti dei servizi dell’intero territorio, secondo i seguenti criteri:

 

  1. popolazione stabilmente residente nel comune gravitante sulle diverse tipologie di servizi anche in base alla distribuzione territoriale;
  2. popolazione da insediare secondo le previsioni del documento di piano, articolata per tipologia di servizi anche in base alla distribuzione territoriale;
  3. popolazione gravitante nel territorio, stimata in base agli occupati nel comune, agli studenti, agli utenti dei servizi di rilievo sovracomunale, nonché in base ai flussi turistici».

 

Il terzo comma specifica che «il piano dei servizi, per soddisfare le esigenze espresse dall’utenza definita con le modalità di cui al comma 2, valuta prioritariamente l’insieme delle attrezzature al servizio delle funzioni insediate nel territorio comunale, anche con riferimento a fattori di qualità, fruibilità e accessibilità e, in caso di accertata insufficienza o inadeguatezza delle attrezzature stesse, quantifica i costi per il loro adeguamento e individua le modalità di intervento. Analogamente il piano indica, con riferimento agli obiettivi di sviluppo individuati dal documento di piano di cui all’articolo 8, le necessità di sviluppo e integrazione dei servizi esistenti, ne quantifica i costi e ne prefigura le modalità di attuazione» stabilendo inoltre che «in relazione alla popolazione stabilmente residente e a quella da insediare secondo le previsioni del documento di piano, è comunque assicurata una dotazione minima di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale pari a diciotto metri quadrati per abitante. Il piano dei servizi individua, altresì, la dotazione di servizi che deve essere assicurata nei piani attuativi, garantendo in ogni caso all’interno di questi la dotazione minima sopra indicata, fatta salva la possibilità di monetizzazione prevista dall’articolo 46, comma 1, lettera a)».

 

Con riferimento ai Comuni aventi «caratteristiche di polo attrattore individuato dal piano territoriale di coordinamento provinciale, in relazione al flusso di pendolari per motivi di lavoro, studio e fruizione di servizi» ed a quelli «caratterizzati da rilevanti presenze turistiche» il comma quinto sancisce che «il piano dei servizi contiene la previsione di servizi pubblici aggiuntivi, in relazione ai fabbisogni espressi dalla popolazione fluttuante»: peraltro «nei comuni aventi caratteristiche di polo attrattore devono, altresì, essere previsti i servizi di interesse sovracomunale necessari al soddisfacimento della domanda espressa dal bacino territoriale di gravitazione»; parimenti «nelle zone montane i comuni tengono conto delle previsioni dei piani di sviluppo socio-economico delle comunità montane».

 

Il comma 10 dell’articolo 9 dispone che «sono servizi pubblici e di interesse pubblico o generale i servizi e le attrezzature pubbliche, realizzati tramite iniziativa pubblica diretta o ceduti al comune nell’ambito di piani attuativi, nonché i servizi e le attrezzature, anche privati, di uso pubblico o di interesse generale, regolati da apposito atto di asservimento o da regolamento d’uso, redatti in conformità alle indicazioni contenute nel piano dei servizi, ovvero da atto di accreditamento dell’organismo competente in base alla legislazione di settore, nella misura in cui assicurino lo svolgimento delle attività cui sono destinati a favore della popolazione residente nel comune e di quella non residente eventualmente servita»; ai sensi del comma 11 «le previsioni contenute nel piano dei servizi, concernenti le aree necessarie per la realizzazione dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, hanno carattere prescrittivo e vincolante».

 

Il comma 12 – oggetto, nel tempo, di una duplice declaratoria di illegittimità costituzionale in relazione ad alcuni determinati profili[2] –  chiarisce che «i vincoli preordinati all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi hanno la durata di cinque anni, decorrenti dall’entrata in vigore del piano stesso […]» essendo «comunque ammessa, da parte del proprietario dell’area, entro il predetto termine quinquennale, la realizzazione diretta di attrezzature e servizi per la cui attuazione è preordinato il vincolo espropriativo, a condizione che la Giunta comunale espliciti con proprio atto la volontà di consentire tale realizzazione diretta ovvero, in caso contrario, ne motivi con argomentazioni di interesse pubblico il rifiuto. La realizzazione diretta è subordinata alla stipula di apposita convenzione intesa a disciplinare le modalità attuative e gestionali».

 

Il comma 13 precisa che «non configurano vincolo espropriativo e non sono soggette a decadenza le previsioni del piano dei servizi che demandino al proprietario dell’area la diretta realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero ne contemplino la facoltà in alternativa all’intervento della pubblica amministrazione».

 

Come anticipato al paragrafo che precede, il «Piano dei servizi» prevede dunque che questi ultimi siano realizzabili da sia operatori pubblici sia privati: l’articolo 9 non stabilisce un rigido rapporto quantitativo tra capacità edificatoria e quantità di aree cd. «standards», demandando al piano stesso la definizione di tale rapporto, fermo il limite minimo di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico che è pari a diciotto mq. per abitante[3].

 

Infine, con riguardo ai «Programmi integrati di intervento», l’articolo 90 – «Aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale» – al primo comma stabilisce che «i programmi integrati di intervento garantiscono, a supporto delle funzioni insediate, una dotazione globale di aree o attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, valutata in base all’analisi dei carichi di utenza che le nuove funzioni inducono sull’insieme delle attrezzature esistenti nel territorio comunale, in coerenza con quanto sancito dall’articolo 9, comma 4[4], anche con la presentazione, da parte del proponente, di una valutazione economico-finanziaria redatta secondo le modalità e i requisiti di cui all’articolo 43 comma 2 quater[5] […]».

 

Tanto esposto con riguardo ai principi riferimenti normativi in argomento, preme altresì porre in evidenza alcuni principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa relativamente agli standards urbanistici: si è osservato, in particolare, che «l’eventuale maggiore dotazione deve essere supportata da una specifica motivazione, la c.d. “motivazione rafforzata” che deve essere riferita alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree.

 

Attraverso la motivazione rafforzata il Comune deve chiarire perché ha superato i limiti minimi previsti dalla legge, atteso che la scelta urbanistica incide fortemente sulle facoltà di godimento connesse al diritto di proprietà ricadente sulle aree destinate a standard ed è pertanto necessario, se si decide di sovradimensionare gli standard, che siano esternate le ragioni che spingono ad un sacrificio degli interessi privati superiore rispetto a quello minimo imposto, in via generale, dall’ordinamento […].

 

In presenza di un sovradimensionamento delle aree destinate ad ospitare attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, i proprietari delle relative aree hanno un interesse giuridicamente protetto ad impugnare gli atti di pianificazione»; inoltre – si è affermato – «l’obbligo di motivazione rafforzata non può essere assolto con il richiamo a slogan o a formule generiche e connotate da una certa astrattezza: non è sufficiente progettare una città ideale, prevedendo ampi parchi, zone a verde, strutture e impianti per la collettività, senza considerare il sacrificio imposto ai proprietari delle aree interessate dagli standard urbanistici e senza quindi tenere conto delle varie soluzioni possibili in ragione delle peculiarità del territorio interessato» (T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, n. 245/2022).

[1] Cfr. par. 1.

[2] Cfr. Sentenza Corte costituzionale, n. 270/2020 che ha:

1) dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 12, secondo periodo, limitatamente alla parte in cui prevede che i vincoli preordinati all’espropriazione per la realizzazione, esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e servizi previsti dal piano dei servizi decadono qualora, entro cinque anni decorrenti dall’entrata in vigore del piano stesso, l’intervento cui sono preordinati non sia inserito, a cura dell’ente competente alla sua realizzazione, nel programma triennale delle opere pubbliche e relativo aggiornamento;

2) dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale del comma 12 sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.

Cfr. Sentenza Corte costituzionale, n. 129/2006, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’articolo 9, comma 12, e dell’articolo 11, comma 3, della L.R. n. 12/2005, nella parte in cui non prevede l’obbligo di procedure ad evidenza pubblica per tutti i lavori, da chiunque effettuati, di importo pari o superiore alla soglia comunitaria

(https://normelombardia.consiglio.regione.lombardia.it/NormeLombardia/Accessibile/main.aspx?view=showpart&idparte=lr002005031100012ar0009a#n49).

[3] FREGO LUPPI S. A., Il governo del territorio tra Stato, regioni ed Enti locali: aspetti problematici della legge lombarda (l.r. n. 12 del 2005), Riv. giur. edilizia, fasc. 2, 2006.

[4] Il comma quarto dell’articolo 9 stabilisce che «il piano dei servizi esplicita la sostenibilità dei costi di cui al comma 3, anche in rapporto al programma triennale delle opere pubbliche, nell’ambito delle risorse comunali e di quelle provenienti dalla realizzazione diretta degli interventi da parte dei privati».

[5] Cfr. par. 8.