GENNAIO 2024 Gli strumenti sanzionatori e repressivi degli abusi edilizi. Verso il T.U. delle Costruzioni: brevi considerazioni sulla riforma in itinere.

Gli strumenti sanzionatori e repressivi degli abusi edilizi.

Le precedenti considerazioni aprono all’esame del regime di repressione degli abusi edilizi che, data la vastità del tema, sarà circoscritto alla disamina delle misure amministrative, tralasciando l’analisi delle gravi conseguenze della lottizzazione abusiva, disciplinata dagli att. 30 e 44 lett. c) del D.P.R. n. 380/2001.

L’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001 reca una disposizione di carattere generale che affida al dirigente, o al responsabile del competente ufficio, il potere-dovere di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale “per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi” e, per l’effetto, di provvedere “alla demolizione e ripristino dello stato dei luoghi” (disponendo, ove occorra, la previa sospensione dei lavori) qualora “accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Ferma tale regola generale, il D.P.R. n. 380/2001 passa ad articolare il regime repressivo delle diverse tipologie di abuso, delineando all’art. 31 la disciplina degli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali allo stesso: “Sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.

La norma prosegue disponendo al comma secondo che, in tali casi, “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale […] ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3”, secondo cui “Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

L’accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione, nel termine massimo di novanta giorni dal relativo ricevimento “costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente” (comma 4) e implica l’irrogazione di “una sanzione amministrativa pecuniaria di importo compreso tra 2.000 euro e 20.000 euro, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti” (comma 4-bis)  i cui proventi sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all’acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico[1].

Il sistema è dunque costruito in modo bifasico: l’abuso edilizio in quanto tale ha quale unica e diretta conseguenza l’ordine di ripristino, che si configura come restaurazione dell’interesse pubblico concretamente leso e non è soggetto ai principi e alle regole delle misure punitive; mentre le “sanzioni” in senso stretto (acquisizione gratuita del bene e della relativa area e sanzione pecuniaria) sono conseguenza dell’inottemperanza all’ordine demolitorio, e sono soggette ai presupposti per l’applicazione delle pene (il favor rei, la presunzione di non colpevolezza, l’irretroattività, l’onere della prova a carico dell’amministrazione, il divieto di ne bis in idem[2]).

Per quanto attiene invece al regime delle sanzioni per gli illeciti “meno gravi”, il D.P.R. n. 380/2001  disciplina rispettivamente agli artt. 33 e 34 le ipotesi di realizzazione in assenza o totale difformità dal titolo degli interventi di ristrutturazione edilizia soggetti a permesso di costruire e quella di realizzazione di opere parzialmente difformi da quest’ultimo, comminando la diffida al ripristino e, in caso di inottemperanza, il ripristino d’ufficio a spese del privato o, qualora questo non sia possibile, il pagamento di una sanzione pecuniaria[3]. Soltanto per le opere eseguite su immobili vincolati ai sensi del D.lgs. n. 42/2004, l’art. 33 dispone al comma terzo che “l’amministrazione competente a vigilare sull’osservanza del vincolo, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell’abuso, indicando criteri e modalità diretti a ricostituire l’originario organismo edilizio, ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 5.164 euro”. Mentre per le opere eseguite su immobili, non vincolati, comprese nelle zone A di cui al D.M. n. 1444/1968, il comma 4 stabilisce che “il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente”[4].

Il ripristino a spese del responsabile dell’abuso è invece la forma obbligata di repressione degli interventi eseguiti in assenza o difformità dal permesso di costruire su immobili di proprietà dello Stato o di enti pubblici in quanto, ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 380/2001, “Qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire , ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo”, in tali casi “la demolizione è eseguita a cura del comune ed a spese del responsabile dell’abuso[5]”.

In senso inverso a quanto previsto dai richiamati artt. 33 e 34, per gli interventi soggetti a SCIA ordinaria, ma eseguiti in assenza o in difformità dalla medesima, il legislatore ha operato all’art. 37 D.P.R. n. 380/2001 una netta scelta per la pena economica prevedendo al comma 1 che “La realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”, fermo restando che, ai sensi del comma 5 “la segnalazione certificata di inizio di attività spontaneamente effettuata quando l’intervento è in corso di esecuzione, comporta il pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro”.

L’art. 37, comma 2 circoscrive la restituzione in pristino ai casi in cui “le opere realizzate in assenza di segnalazione certificata di inizio attività consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, di cui alla lettera c) dell’articolo 3, eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali, nonché dalle altre norme urbanistiche vigenti”, in tali casi “l’autorità competente a vigilare sull’osservanza del vincolo, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 10.329 euro”.

Da ultimo, in relazione alla mancata presentazione della CILA, l’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001 prevede che la stessa “comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione”.

 

 

Verso il T.U. delle Costruzioni: brevi considerazioni sulla riforma in itinere.

Per l’evoluzione intervenuta nel settore delle costruzioni dagli anni Settanta ad oggi e per le molteplici (e nel complesso disorganiche) modifiche apportate alla disciplina edilizia negli ultimi anni si è tentato varie volte – senza approdare a risultati concreti – di avviare un percorso di ripensamento dell’attuale D.P.R. n. 380/2001, che non appare più in grado di fornire adeguate risposte alle innumerevoli problematiche che si presentano quotidianamente nella pratica applicativa.

Invero, si ravvisano in tutto il Paese, molteplici criticità che incidono negativamente sulla vita dei cittadini, sull’attività di professionisti, imprese e Pubbliche Amministrazioni, tra cui quelle relative all’individuazione della corretta procedura da seguire nell’esecuzione di interventi edilizi, che negli anni hanno intasato i Tribunali di ogni ordine e grado, come evidenziato nella legge delega per il riordino della materia presentato nel 2020, il cui testo è rimasto fermo in Commissione Lavori Pubblici del Senato.

In tale contesto, si inserisce la ripresa al lavoro di riforma del D.P.R. n. 380/2001 che, diversamente dal 2001, in cui le esigenze di riunire disposizioni legislative e regolamentari ha necessitato di un Decreto del Presidente della Repubblica, dovrebbe partire da una legge delega del Parlamento al Governo in cui verranno fissati i principi e le finalità che dovranno portare alla definizione di un Decreto Legislativo. A tal fine, presso il Ministero delle infrastrutture è stato istituito un Tavolo Tecnico che ha licenziato una bozza del nuovo T.U. delle Costruzioni con lo scopo di scrivere la nuova legge delega.

Orbene, in chiusura alla presente disamina e, in attesa dell’annunciata promulgazione della legge delega, non si può non prendere in considerazione alcune delle innovazioni contenute nel testo predisposto dal predetto Tavolo Tecnico con riferimento agli istituti oggetto di approfondimento nel corso dell’analisi de qua che, a fronte delle criticità applicative riscontrare, potrebbero essere riformati dall’attesa nuova disciplina sulle costruzioni.

Tale testo prevede una nuova classificazione degli interventi edilizi in linea con le mutate esigenze dei territori nonché, relativamente ai regimi amministrativi, scompare l’edilizia “quasi libera” – che necessitava la presentazione della CILA – con la conseguente distinzione degli interventi edilizi in attività edilizia libera, attività subordinata a permesso di costruire e attività subordinata a SCIA.

Interessanti modifiche attengono altresì l’istituto dell’agibilità che, diversamente dall’attuale normativa, potrebbe non attestare la conformità dell’opera al progetto presentato, ma unicamente la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, accessibilità, efficienza energetica dell’immobile e degli impianti nello stesso installati, indispensabili per consentirne l’utilizzo, nonché, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale. Oltre alla specificazione degli interventi per i quali è richiesto il deposito della certificazione di agibilità, è previsto l’aggiornamento di detta certificazione a seguito di interventi di qualsiasi natura che introducono modifiche incidenti in maniera sistematica o comunque in misura significativa sulle condizioni indicante, o che comportino una trasformazione integrale e sistemica dell’intero assetto impiantistico dell’immobile o dell’unità immobiliare.

Con riferimento alla cd. “conformità urbanistica”, sempre stando a quanto previsto dalla bozza in commento, la riforma potrebbe normare una rimodulazione della procedura prevista dall’art. 36 del D.P.R. n. 380/200 volta a riconoscere una sorta di accertamento di conformità condizionato alla realizzazione di opere di modesta entità, finalizzate alla piena conformazione dell’immobile alla vigente disciplina edilizia e urbanistica. Inoltre, fatta eccezione per gli interventi di nuova costruzione eseguiti in assenza di titolo abilitativo ed in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca della loro realizzazione, potrebbe essere ammessa la possibilità di ottenere il titolo abilitativo in sanatoria per interventi urbanistico-edilizi eseguiti in violazione della disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca della realizzazione, a condizione che questi ultimi risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda di accertamento di conformità.

In tale prospettazione, potrebbero essere considerati legittimamente realizzati, anche in presenza di diverse disposizioni nella regolamentazione comunale, gli interventi edilizi eseguiti ed ultimati prima dell’entrata in vigore della legge n. 765/1967 (cd. “Legge Ponte”), ivi compresi quelli ricadenti all’interno della perimetrazione dei centri abitati o delle zone destinate ad espansione dell’aggregato urbano individuate dallo strumento urbanistico all’epoca vigente.

 

[1] Tali disposizioni si applicano anche agli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001.

[2] M.A. SANDULLI, in Rivista Giuridica dell’Edilizia, fasc.3, 1° GIUGNO 2022, pag. 171.

[3] Nel primo caso, “pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392 e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, determinato a cura dell’agenzia del territorio”; mentre, nel secondo “pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

[4]  Tali disposizioni si applicano anche agli interventi subordinati a segnalazione certificata di inizio di attività in alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001.

[5] Tali disposizioni si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’art. 23, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001, eseguiti in assenza di segnalazione di inizio attività, ovvero in totale o parziale difformità dalla stessa.