GENNAIO 2024 La disciplina normativa dettata dalla legge urbanistica n. 1150/1942 – Gli strumenti urbanistici comunali nella legge regionale lombarda per il governo del territorio

La disciplina normativa dettata dalla legge urbanistica n. 1150/1942: i contenuti di maggior rilievo

 

La presente trattazione intende soffermarsi sulla disciplina relativa alla pianificazione urbanistica in Lombardia attraverso un’analisi che tenga conto dell’assetto normativo non solo regionale, ma anche nazionale, e che risulti orientata a fornire un approccio alle prospettive future delle politiche di governo del territorio.

 

Poste tali premesse, non può non considerarsi come la legge statale che ancora oggi reca la disciplina più organica della materia urbanistica risalga al 1942: si tratta della legge n. 1150 (cd. «Legge urbanistica») che, nonostante l’incompleta attuazione e l’impianto centralizzatore, ha rappresentato la principale fonte di riferimento per l’individuazione dei princìpi fondamentali della materia, ai quali ha dovuto uniformarsi la legislazione regionale di dettaglio adottata a partire dal 1970, sulla base della competenza concorrente riconosciuta in materia urbanistica dall’articolo 117 della Costituzione nella sua versione antecedente alla riforma del Titolo V del 2001.

 

Tra i contenuti di maggior rilievo introdotti da tale legge deve essere evidenziato come essa abbia previsto da un lato l’istituzione dei piani regolatori territoriali di coordinamento, finalizzati ad orientare e coordinare l’attività urbanistica di aree vaste e vincolanti per i piani subordinati – poi variamente ridenominati e rimodulati nella legislazione regionale – che costituiscono il primo livello di pianificazione urbanistica con efficacia di orientamento ed indirizzo ed ai quali è affidato il compito di garantire il coordinamento con gli atti di pianificazione settoriale, e, dall’altro, di un piano regolatore generale (P.R.G.), quale strumento principale, affidato alla responsabilità del Comune, di pianificazione e controllo dello sviluppo urbano, da attuare attraverso piani particolareggiati di esecuzione, redatti dal Comune medesimo[1].

 

Tale testo normativo, nel 1967, è stato integrato da alcune disposizioni della legge n. 765, meglio nota come cd. «Legge Ponte»: merita di essere ricordata, in particolare, la modifica apportata dall’articolo 17 della legge n. 765/1967, che ha introdotto nel testo della legge n. 1150/1942 l’articolo 41-quinquies, norma che ha previsto che in tutti i Comuni, «ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi» e che tali limiti e rapporti siano «definiti per zone territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici […]».

La previsione de qua ha inteso richiedere agli strumenti di pianificazione di prevedere, da un lato, l’osservanza di limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati (cd. standards edilizi), dall’altro, i rapporti massimi tra spazi destinati ad insediamenti privati e spazi pubblici, collettivi, verde pubblico e parcheggi (cd. standards urbanistici), allo scopo di garantire un ordinato ed equilibrato sviluppo del territorio.

Detta norma è stata successivamente attuata dal D.M. n. 1444/1968, che ha individuato specifiche percentuali di dotazioni infrastrutturali per ciascuna destinazione funzionale in relazione alle zone definite dalla pianificazione urbanistica comunale: tali percentuali sono state, inoltre, talvolta declinate anche dalle norme regionali.

  Gli strumenti urbanistici comunali nella legge regionale lombarda per il governo del territorio: il piano di governo del territorio, la pianificazione attuativa ed i convenzionamenti

 In seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione – avvenuta ad opera della L. cost. n. 3/2001 con lo scopo di dare piena attuazione al principio fondamentale sancito dall’articolo 5, a mente del quale «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento» – il terzo comma dell’articolo 117 attribuisce ora la materia «governo del territorio» alla legislazione concorrente tra Stato, a cui riserva la determinazione dei principi fondamentali, e Regioni.

Come noto la legge di riferimento in materia in Lombardia è rappresentata dalla L.R. n. 12/2005 (cd. «Legge per il governo del territorio»): quest’ultima individua gli strumenti urbanistici comunali nella sua Parte Idedicata alla «PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO» – e segnatamente al Titolo II, recante la disciplina in ordine agli «STRUMENTI DI GOVERNO DEL TERRITORIO».

Orbene, prima di passare all’analisi di alcune tra le disposizioni maggiormente rilevanti, occorre rammentare che al Capo I vengono dettate le «DISPOSIZIONI GENERALI» in materia: l’articolo 2 detta prescrizioni in ordine alla «Correlazione tra gli strumenti di pianificazione territoriale», stabilendo – per quanto ivi di interesse – al primo comma che «il governo del territorio si attua mediante una pluralità di piani, fra loro coordinati, coerenti e differenziati, i quali, nel loro insieme, costituiscono la pianificazione del territorio stesso», al comma 1-bis che «il Piano territoriale regionale (PTR) costituisce il piano di riferimento ai fini della coerenza delle politiche regionali e dei piani e programmi di settore con ricadute territoriali, nonché degli strumenti della pianificazione urbanistica e territoriale ai vari livelli», al comma 2 che i piani si caratterizzano ed articolano sia in ragione del diverso ambito territoriale cui si riferiscono sia in virtù del contenuto e della funzione svolta dagli stessi, al comma 4 che «il piano territoriale regionale e i piani territoriali di coordinamento provinciali hanno efficacia di orientamento, indirizzo e coordinamento, fatte salve le previsioni che, ai sensi della presente legge, abbiano efficacia prevalente e vincolante».

Il Capo II «Pianificazione comunale per il governo del territorio», si apre con l’articolo 6 «Pianificazione comunale», sancendo che «sono strumenti della pianificazione comunale:

  1. a) il piano di governo del territorio;
  2. b) i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale».

 

L’articolo 7 disciplina il «Piano di governo del territorio» stabilendo al primo comma che «il piano di governo del territorio, di seguito denominato PGT, definisce l’assetto dell’intero territorio comunale ed è articolato nei seguenti atti:

  1. a) il documento di piano;
  2. b) il piano dei servizi;
  3. c) il piano delle regole».

 

Gli articoli successivi hanno ad oggetto tali atti: in particolare l’articolo 8 si riferisce al «Documento di piano»[2], l’articolo 9 al «Piano dei servizi» e l’articolo 10 al «Piano delle regole», mentre l’articolo 10-bis reca «Disposizioni speciali per i comuni con popolazione inferiore o pari a 2.000 abitanti».

 

I piani attuativi, quali atti di pianificazione urbanistica comunale di secondo livello, definiscono nel dettaglio le previsioni del P.G.T., a cui sono gerarchicamente subordinati, e ne specificano i parametri urbanistici ed edilizi: invero l’articolo 12 della L.R. n. 12/2005 – norma che disciplina i «Piani attuativi comunali» – dispone, al primo comma, che «l’attuazione degli interventi di trasformazione e sviluppo indicati nel documento di piano avviene attraverso i piani attuativi comunali, costituiti da tutti gli strumenti attuativi previsti dalla legislazione statale e regionale. L’esecuzione del piano attuativo può avvenire per stralci funzionali, preventivamente determinati, nel rispetto di un disegno unitario d’ambito, con salvezza dell’utilizzo del permesso di costruire convenzionato nei casi previsti dalla legge».

 

Il comma secondo della norma de qua precisa che «il documento di piano connette direttamente le azioni di sviluppo alla loro modalità di attuazione mediante i vari tipi di piani attuativi comunali con eventuale eccezione degli interventi pubblici e di quelli di interesse pubblico o generale, di cui all’articolo 9, comma 10»[3], mentre il comma terzo specifica che «nei piani attuativi vengono fissati in via definitiva, in coerenza con le indicazioni contenute nel documento di piano, gli indici urbanistico-edilizi necessari alla attuazione delle previsioni dello stesso» (articolo 12, comma 3, L.R. n. 12/2005); il comma quarto fornisce le indicazioni per la presentazione del piano attuativo ed il comma quinto statuisce che «le previsioni contenute nei piani attuativi e loro varianti hanno carattere vincolante e producono effetti diretti sul regime giuridico dei suoli».

 

Ciò posto, quanto agli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, in Lombardia, la legge di riferimento per la programmazione negoziata è la L.R. n. 19/2019 – «Disciplina della programmazione negoziata di interesse regionale» – che fissa i criteri per attivare e gestire diversi strumenti di governo del territorio necessari per dare attuazione a programmi che comportano rilevanti impatti territoriali, quali i Programmi integrati di intervento e gli Accordi di Programma.

 

Al riguardo deve essere ricordato quanto enunciato dal primo comma dell’articolo 1 («Finalità») della L.R. n. 19/2019, dove si afferma che «la presente legge disciplina gli strumenti della programmazione negoziata di interesse regionale, in coerenza con il principio di sussidiarietà e di pari ordinazione degli enti, secondo le disposizioni del Titolo V della Parte II della Costituzione, per la realizzazione condivisa degli obiettivi e delle linee programmatiche regionali individuate nel Programma regionale di sviluppo, nel Documento di economia e finanza regionale e negli altri piani e programmi regionali di settore, la cui attuazione richiede l’azione integrata e coordinata della Regione e di uno o più enti locali o, comunque, di amministrazioni pubbliche, soggetti pubblici o anche organismi di diritto pubblico», precisandosi al comma secondo che «fermo restando quanto previsto al comma 1, anche i soggetti privati possono concorrere all’attuazione degli strumenti di programmazione negoziata di interesse regionale, secondo le modalità previste ai sensi della presente legge»[4].

 

Il successivo articolo 2 («Strumenti della programmazione negoziata di interesse regionale») al primo comma dispone che «sono strumenti della programmazione negoziata di interesse regionale:

  1. a) l’accordo quadro di sviluppo territoriale, di seguito indicato come AQST;
  2. b) l’accordo di rilancio economico, sociale e territoriale, di seguito indicato come AREST;
  3. c) l’accordo di programma, di seguito indicato come AdP;
  4. d) l’accordo locale semplificato, di seguito indicato come ALS»[5].

 

L’articolo 14 («Abrogazioni, norme transitorie e finali») della L.R. n. 19/2019, al comma 8, prevede che «i rinvii agli accordi di programma o agli altri strumenti di programmazione negoziata regionale previsti ai sensi delle leggi regionali di settore si intendono riferiti, ove compatibili, agli strumenti di programmazione negoziata di cui all’articolo 2, comma 1, della presente legge. È comunque fatta salva la specifica disciplina degli accordi di programma prevista dalla l.r. 12/2005 per l’approvazione dei programmi integrati di intervento che comportano variante agli strumenti urbanistici e aventi rilevanza regionale».

 

La «Disciplina dei programmi integrati di intervento» (P.I.I.) si riviene agli articoli 87 e seguenti della L.R. n. 12/2005, al Capo I del Titolo VI «Procedimenti speciali e discipline di settore» della PARTE II «Gestione del territorio»: l’articolo 87 («Programmi integrati di intervento») sancisce che «i comuni, nell’ambito delle previsioni del documento di piano di cui all’articolo 8 […] nonché in coerenza con le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 3 bis, promuovono la formazione di programmi integrati di intervento al fine di riqualificare il tessuto urbanistico, edilizio e ambientale del proprio territorio»: se il comma secondo della norma chiarisce che «il programma integrato di intervento è caratterizzato dalla presenza di almeno due dei seguenti elementi:

 

  1. a) previsione di una pluralità di destinazioni e di funzioni, comprese quelle inerenti alle infrastrutture pubbliche e di interesse pubblico, alla riqualificazione ambientale, naturalistica e paesaggistica, alla rigenerazione urbana anche mediante la bonifica dei suoli contaminati;

 

  1. b) compresenza di tipologie e modalità di intervento integrate, anche con riferimento alla realizzazione e al potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria;

 

  1. c) rilevanza territoriale tale da incidere sulla riorganizzazione dell’ambito urbano», il comma quarto precisa che «il programma integrato di intervento può prevedere il concorso di più soggetti operatori e risorse finanziarie, pubblici e privati». L’articolo 88 ne definisce «Ambiti e obiettivi»: in particolare preme segnalare fin da ora il disposto del comma terzo, il quale sancisce che il programma integrato di intervento «persegue obiettivi di riqualificazione urbana e ambientale, con particolare riferimento ai centri storici, alle aree periferiche, nonché agli ambiti di cui all’articolo 8, comma 2, lettera e quinquies)»; l’articolo 89 si occupa degli «Interventi su aree destinate all’agricoltura», mentre l’articolo 90 ha ad oggetto le «Aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale».

 

L’attivazione, l’approvazione e l’attuazione dei P.I.I. sono disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 91, 92 e 93 della L.R. n. 12/2005, mentre l’articolo 94 detta prescrizioni in ordine ai «Programmi di recupero urbano e programmi integrati di recupero»; l’articolo 94-bis chiude il Capo I con delle previsioni in ordine a «Trasformazione urbanistica del territorio e permesso di costruire»; il successivo Capo II del medesimo Titolo VI è dedicato, infine, ad «Altri procedimenti speciali».

[1] https://documenti.camera.it/leg19/dossier/pdf/Am0040.pdf

[2] Si ricorda che l’articolo 8-bis ha invece ad oggetto la «Promozione degli interventi di rigenerazione urbana e territoriale».

[3] Cfr. par. 6.

[4] Il comma terzo prevede che «gli strumenti di programmazione negoziata di cui al comma 1 assicurano l’integrazione e il coordinamento delle azioni concordate, ferme restando le competenze delle amministrazioni coinvolte rispetto all’esercizio delle funzioni e allo svolgimento delle attività di interesse comune previste per l’attuazione di ciascun accordo».

[5] Ai sensi del comma secondo «costituiscono, altresì, strumenti di programmazione negoziata di interesse regionale i patti territoriali per lo sviluppo economico, ambientale, sociale e della mobilità dei territori montani ai quali la Regione aderisce secondo le modalità e le condizioni definite dalla Giunta regionale ai sensi dell’articolo 2, comma 3, della legge regionale 28 dicembre 2017, n. 40 (Disposizioni per la promozione e lo sviluppo dei territori montani interessati da impianti di risalita e dalle infrastrutture connesse e funzionali al relativo servizio). Ai patti territoriali di cui al presente comma continua ad applicarsi la specifica disciplina di cui alla l.r. 40/2017. È comunque fatta salva la specifica disciplina di riferimento delle forme di accordo o di patto, ulteriori a quella di cui al precedente periodo, previste dalla normativa regionale di settore».