GENNAIO 2024 L’onerosità degli interventi edilizi. L’evoluzione del certificato di agibilità

L’onerosità degli interventi edilizi: il contributo per oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione.

Sempre con riferimento alla disciplina dei titoli abilitativi, costituisce principio fondamentale della materia l’onerosità del permesso di costruire che l’art. 11, comma 2 del D.P.R. n. 380/2001, enumera tra le caratteristiche del permesso di costruire – quali la trasferibilità e l’irrevocabilità – rinviando al successivo articolo 16 del D.P.R. n. 380/2001 per la disciplina di dettaglio.

In particolare, nel prevedere che “Salvo quanto disposto all’articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”, l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001  non solo individua le due componenti del contributo, ma opera anche quale limite delle contribuzioni che possono essere imposte ai privati, giacché l’obbligo di corrispondere somme aggiuntive rispetto a quanto da essi dovuto a titolo di contributo di costruzione non avrebbe alcuna copertura legislativa e si porrebbe conseguentemente in contrasto con l’art. 23 Cost. secondo cui “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

Con riferimento al costo di costruzione, la disposizione in esame prevede al comma 3 che “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione”, mentre ai commi 9 e 10 si sofferma ad indicare i criteri per addivenire alla determinazione del costo di costruzione.

L’ulteriore componente del contributo è costituita dalla quota relativa agli oneri di urbanizzazione che, a mente del comma 2 dell’art. 16, “va corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, […] con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune”. Il comma 2-bis specifica, inoltre, che nell’ambito degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento urbanistico generale, l’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria di cui all’art. 35, comma 1, lett. c), del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, funzionali all’intervento di trasformazione urbanistica del territorio, sia a carico del titolare del permesso di costruire e non trovi applicazione il cd. “Codice dei Contratti Pubblici”.

Rammentando che i commi 7, 7-bis e 8 differenziano gli oneri de quibus in primari e secondari – prevedendo che gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi a “strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato”, mentre quelli di urbanizzazione secondaria ad “asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie […]” – giova segnalare che la loro incidenza è stabilita, secondo quanto prescritto dall’art. 16, comma 4, “con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:

  1. a) all’ampiezza ed all’andamento demografico dei comuni;
  2. b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
  3. c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;
  4. d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall’articolo 41-quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali.

d-bis) alla differenziazione tra gli interventi al fine di incentivare, in modo particolare nelle aree a maggiore densità del costruito, quelli di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), anziché quelli di nuova costruzione;

d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica o in deroga. Tale maggior valore, calcolato dall’amministrazione comunale, è suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed è erogato da quest’ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l’interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l’intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche[1]”.

Il comma quinto stabilisce che “Nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale, secondo i parametri di cui al comma 4, fermo restando quanto previsto dal comma 4-bis”, mentre ai sensi del successivo comma sesto “Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale”.

Passando alle previsioni di cui all’articolo 17 – che definisce delle ipotesi, tassative e di stretta interpretazione, di riduzione o esonero dal contributo di costruzione – lo stesso prevede al comma 1 che  “Nei casi di edilizia abitativa convenzionata, relativa anche ad edifici esistenti, il contributo afferente al permesso di costruire è ridotto alla sola quota degli oneri di urbanizzazione qualora il titolare del permesso si impegni, a mezzo di una convenzione con il comune, ad applicare prezzi di vendita e canoni di locazione determinati ai sensi della convenzione-tipo prevista dall’articolo 18”, per poi aggiungere al comma 2 che ”Il contributo per la realizzazione della prima abitazione è pari a quanto stabilito per la corrispondente edilizia residenziale pubblica, purché sussistano i requisiti indicati dalla normativa di settore”.

Per gli interventi da realizzare su immobili di proprietà dello Stato, nonché per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b) e all’art. 6-bis qualora comportanti aumento del carico urbanistico, “il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile” (comma 4); mentre, il contributo di costruzione è ridotto in misura non inferiore del 20 per cento rispetto a quello previsto dalle tabelle parametriche regionali “Al fine di agevolare gli interventi di rigenerazione urbana, di decarbonizzazione, efficientamento energetico, messa in sicurezza sismica e contenimento del consumo di suolo, di ristrutturazione, nonché di recupero e riuso degli immobili dismessi o in via di dismissione”, fermo restando la facoltà dei comuni di deliberare ulteriori riduzioni del contributo di costruzione, fino alla completa esenzione dallo stesso (comma 4-bis).

Diversamente, per l’art. 17 comma 3 il contribuito di costruzione non è dovuto:

“a) per gli interventi da realizzare nelle zone agricole, ivi comprese le residenze, in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze dell’imprenditore agricolo a titolo principale, ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153; 

  1. b) per gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, in misura non superiore al 20%, di edifici unifamiliari;
  2. c) per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale realizzate dagli enti istituzionalmente competenti nonché per le opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici;
  3. d) per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità;
  4. e) per i nuovi impianti, lavori, opere, modifiche, installazioni, relativi alle fonti rinnovabili di energia, alla conservazione, al risparmio e all’uso razionale dell’energia, nel rispetto delle norme urbanistiche, di tutela dell’assetto idrogeologico, artistico-storica e ambientale”.

Con riferimento alla Regione Lombardia deve rammentarsi che la stessa ha una propria disciplina dei cd. oneri concessori, diversa per molti aspetti da quella contenuta nell’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001: la L.R. n. 12/2005 detta agli articoli da 43 a 48 dalla L.R. n. 12/2005 puntuali disposizioni in tema di contributo di costruzione ed inoltre, a mente dell’art. 103 della medesima legge per il governo del territorio, nella Regione non trova diretta applicazione la disciplina di dettaglio prevista dagli articoli 16, ad esclusione del comma 2-bis e 17, comma 4-bis del D.P.R. n. 380/2001.

 

L’evoluzione del certificato di agibilità e lo stato del vigente art. 24 del D.P.R. n. 380/2001.

Le considerazioni precedentemente svolte con riferimento alla sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali con titoli abilitativi de-provvedimentalizzati valgono anche per l’istituto dell’agibilità degli edifici, la cui disciplina è frutto di un’importante evoluzione normativa, nel corso della quale possono individuarsi, per semplificazione, tre momenti fondamentali.

Per anni l’agibilità di un edificio è stata provata attraverso un apposito certificato, la cui introduzione risale all’art. 221 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (“T.U. delle leggi sanitarie”) secondo il quale gli edifici urbani o rurali, o parti di essi, di nuova costruzione oppure già esistenti ma oggetto di ricostruzione o sopraelevazione o per modificazioni in grado di influire sulle condizioni di salubrità, “non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”.

Successivamente, dopo varie vicende legislative, l’art. 4 del D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425 ha convertito detta autorizzazione nella “certificazione” di abitabilità richiesta dal proprietario al Sindaco, il quale ne provvedeva al rilascio entro trenta giorni dalla presentazione della domanda con allegata la documentazione richiesta; tale certificazione era ottenibile anche con il silenzio-assenso decorso il termine di quarantacinque giorni dalla presentazione o integrazione della domanda. In tal caso, nei successivi centottanta giorni il Sindaco poteva disporre l’ispezione – e dichiarane l’inabitabilità in caso di assenza dei requisiti richiesti alla costruzione per essere dichiarata abitabile – decorsi i quali l’abitabilità si intendeva definitivamente attestata.

A seguito del Testo Unico sull’edilizia (artt. 24, 25 e 26 del D.P.R. n. 380/2001) il termine “abitabilità[2]” è stato trasformato nell’altro termine di “agibilità” atto a certificare “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente” con riferimento agli interventi di nuove costruzioni, ricostruzioni, sopraelevazioni totali o parziali nonché agli interventi su edifici esistenti in grado di influire sulle condizioni igienico-sanitarie. Tale certificato implicava una serie di valutazioni ulteriori rispetto a quelle che erano prescritte dal previgente art. 221 del R.D. 1265/1934, rimasto in vigore anche dopo l’emanazione dell’art. 4 del D.P.R. n. 425/1994[3].

Inoltre, nell’originaria formulazione del T.U., il rilascio del certificato di agibilità presupponeva la presentazione di un’istanza all’Autorità comunale nel termine di quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento da parte del titolare del permesso di costruire, dal soggetto che aveva presentato la DIA, o dai loro successori o aventi causa e, nel termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, il Dirigente, o il responsabile dell’ufficio comunale, doveva emettere detto certificato che altrimenti si intendeva formato per silenzio-assenso[4]. L’attestazione dell’agibilità non impediva al sindaco di dichiarare l’inagibilità dell’edificio o parte di esso per ragioni igieniche ai sensi dell’art. 222 del T.U. di Sanità espressamente richiamato dall’art. 26 del D.P.R. n. 380/2001.

La normativa illustrata ha subito sostanziali e rilevanti modificazioni per effetto del D.L. n. 222/2016 (cd. “Decreto Scia 2”),  che è intervenuto in modo radicale sul dettato dell’art. 24 del D.P.R. n. 380/2001 mediante la sottoposizione del procedimento di acquisizione dell’agibilità al modello della SCIA in luogo della certificazione di agibilità: la conformità dell’opera al progetto e la sua agibilità non sono più certificate dal Comune, ma il privato è chiamato ad attestare mediante segnalazione certificata “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità”, con conseguente riconoscimento di una legittimazione ex lege al lecito utilizzo dalla data di presentazione allo sportello unico della segnalazione senza necessità di dover attendere, come in passato, una determinazione espressa o la formazione del silenzio-assenso.

Dal punto di vista degli interventi cui è tuttora correlata la domanda di agibilità l’art. 24, nel prevedere al comma 2 che “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa, presenta allo sportello unico per l’edilizia la segnalazione certificata”, assoggetta alla presentazione della stessa gli interventi edilizi di “a) nuove costruzioni; b) ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali; c) interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni di cui al comma 1”,  pena l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro[5].

La novella del 2016 ha previsto al quarto comma che l’agibilità possa riguardare anche: “a) singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni; b) singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale”.

Tale segnalazione deve essere corredata dalla documentazione elencata dall’art. 24, comma 5: a) attestazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato che assevera la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1; b) certificato di collaudo statico di cui all’articolo 67 ovvero, per gli interventi di cui al comma 8-bis del medesimo articolo, dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori) dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all’articolo 77, nonché all’articolo 82; d) gli estremi dell’avvenuta dichiarazione di aggiornamento catastale; e) dichiarazione dell’impresa installatrice, che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico prescritte dalla disciplina vigente ovvero, ove previsto, certificato di collaudo degli stessi;
e-bis) attestazione di ‘edificio predisposto alla banda ultra larga’, rilasciata da un tecnico abilitato per gli impianti di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), del 
decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 gennaio 2008, n. 37, e secondo quanto previsto dalle Guide CEI 306-2, CEI 306-22 e 64-100/1, 2 e 3”.

L’art. 24, dopo aver precisato al comma 6 che “l’utilizzo delle costruzioni di cui ai commi 2 e 4 può essere iniziato dalla data di presentazione allo sportello unico della segnalazione corredata della documentazione di cui al comma 5. Si applica l’articolo 19, commi 3 e 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241”, al comma 7 rimette alle Regioni, Province autonome, Comuni e Città metropolitane la disciplina delle modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e comprensivi dell’ispezione delle opere realizzate; resta fermo che, ai sensi dell’art. 26,  “La presentazione della segnalazione certificata di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265.

Da ultimo, deve rilevarsi come la disciplina di cui sopra è stata integrata dalla legge n. 120/2020 con l’aggiunta del comma 7-bis che, al fine di favorire il trasferimento dei beni immobili e di facilitare la riqualificazione del patrimonio edilizio, ha ammesso la possibilità di presentare detta segnalazione anche in assenza di lavori per gli immobili legittimamente realizzati e privi di agibilità disponendo che “La segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”.

 

[1] In ordine alla lettera d-ter) da ultimo citata preme evidenziare la modifica legislativa apportata dal cd. “Decreto Semplificazioni” nel 2020, il quale – con una previsione diretta a superare ogni dubbio interpretativo circa il campo di applicazione di tale cd. “contributo straordinario” introdotto dal cd. “Decreto Sblocca-Italia” nel 2014, nonché in coerenza con le pronunce che ne hanno chiarito finalità e portata – ha disposto l’eliminazione del previgente riferimento al cambio di destinazione d’uso, il quale “risulta urbanisticamente rilevante solo quando comporta l’aumento di carico urbanistico ed è già subordinato al pagamento della differenza del contributo di costruzione dovuto tra l’uso originario e quello di progetto”. A tale ultimo proposito, si richiama altresì il successivo comma 4-bis che, “con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d-ter) del comma 4”, fa salve “le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali”.

[2] Il D.P.R. n. 380/2001 ha soppresso il dualismo tra i termini di “agibilità” e “abitabilità” che in passato corrispondevano a due certificazioni: invero, mentre la prima era legata alla disciplina generale della stabilità e della sicurezza dell’immobile con specifico riferimento agli immobili non residenziali, la seconda era collegata ai requisiti dell’immobile rispetto alle specifiche destinazioni d’uso, con particolare riferimento a quello abitativo.

s Sul punto, appare interessante richiamare la pronuncia Consiglio di Stato sez. II, 27/07/2020, n.4774 secondo cui: “Il certificato di agibilità di cui all’art. 24 del d.P.R. n. 380/2001, non ha un ambito applicativo perfettamente coincidente con quello delineato dal previgente art. 220 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265. […]  Ne consegue che la differenza tra i due certificati non è solo terminologica ma anche contenutistica, per cui il primo non può essere preteso in relazione ad immobili realizzati prima dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 380/2001 (avvenuta in data 30 giugno 2003 ex art. 2, comma 1, del d.l. 20 giugno 2002, n. 122, convertito dall’art. 1, comma 1, della l. 1 agosto 2002, n. 185) e non interessati da interventi edilizi successivi a tale data, che ne giustifichino la richiesta.”.

[4]  Rispetto alla normativa previgente l’inerzia della P.A. sulla domanda veniva espressamente qualificata come silenzio assenso, che si riteneva formato nel termine di trenta giorni se l’Autorità amministrativa poteva avvalersi del parere dell’ASL, mentre se al posto di tale parere il richiedente aveva potuto rilasciare un’autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico sanitarie, lo stesso si formava in sessanta giorni. Il T.U. ha poi eliminato la seconda ispezione che poteva essere disposta dall’Amministrazione comunale fino a centottanta giorni dalla formazione del silenzio assenso per verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti di abitabilità, e da cui poteva derivare la dichiarazione di non abitabilità. Inoltre, al fine di rendere certi il tempo procedimenti previsti per il rilascio del certificato di agibilità è stato specificato che la richiesta di documenti integrativi della domanda presentata (da cui consegue l’interruzione dei termini per il rilascio del certificato di agibilità), anziché essere semplicemente “tempestiva” (cfr. comma 4, dell’art. 4, del D.P.R. n. 425/1994), doveva essere avanzata dall’Amministrazione comunale entro quindici giorni dalla ricezione della domanda stessa.

[5] Secondo quanto previsto dall’art. 24, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001.