Gli abusi sanabili in area con vincolo paesaggistico – Compatibilità paesaggistica postuma: le ipotesi in cui è consentita

Gli abusi sanabili in area con vincolo paesaggistico

 Per quanto ivi di interesse, in relazione ai profili concernenti la tutela paesaggistica occorre rammentare brevemente che la normativa di riferimento si rinviene nel D.lgs. n. 42/2004 (cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio»), il quale all’articolo 146 («Autorizzazione») sancisce al primo comma che «i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione», avendo «l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione» come disposto dal secondo comma.

Il comma quarto stabilisce poi che «l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio»:»: ne deriva – come riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa – che gli interventi eseguiti in ambito soggetto a vincolo paesaggistico necessitano di due distinti e autonomi titoli, il titolo edilizio e l’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che l’opera va sanzionata anche se risulti priva di uno solo di essi (T.A.R. Brescia (Lombardia), sez. I, n. 679/2020).

Il comma in esame risulta notevolmente significativo, inoltre, poiché pone il generale divieto di cd. «sanatoria postuma», prevedendo che «fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi».

Preme precisare che l’articolo 149 individua alcuni «Interventi non soggetti ad autorizzazione», mentre il D.P.R. n. 31/2017, entrato in vigore il 6 aprile 2017, all’articolo 2 («Interventi ed opere non soggetti ad autorizzazione paesaggistica») stabilisce che «non sono soggetti ad autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all’Allegato «A» nonché quelli di cui all’articolo 4» ed all’articolo 3 prevede che siano soggette al procedimento autorizzatorio semplificato le opere di lieve entità elencate nell’Allegato «B».

Gli articoli 167 e 181 del D.lgs. n. 42/2004 recano – rispettivamente – le sanzioni amministrative e penali relative alle violazioni della disciplina della Parte Terza del Codice in tema di «Beni paesaggistici».

Orbene, con riguardo agli abusi sanabili in area sottoposta ad un vincolo paesaggistico la giurisprudenza ha chiarito che «la sanatoria di cui all’art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si fonda sul rilascio di un provvedimento abilitativo sanante da parte della competente Amministrazione, sempre possibile previo accertamento di conformità o di non contrasto delle opere abusive non assentite agli strumenti urbanistici vigenti nel momento della realizzazione e in quello della richiesta, previo accertamento di compatibilità paesaggistica nelle ipotesi in cui l’area sia assoggettata a vincolo paesaggistico e che è tassativamente limitato alle sole fattispecie contemplate dall’art. 167 comma 4, d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42, come da ultimo sostituito per effetto dell’art. 27, d.lg. 24 marzo 2006, n. 157 […]» (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1874/2019).

In tema di reati urbanistici si è ricordato che «la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all’art. 44 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l’irrogazione dell’ordine di demolizione dell’opera abusiva previsto dall’art. 31, comma 9, del medesimo D.P.R. n. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall’art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica.

[…]

Inoltre, il titolo abilitativo rilasciato a seguito di accertamento di conformità (art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) estingue esclusivamente i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti; non estingue i reati paesaggistici previsti dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che sono soggetti ad una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente oggettività giuridica diversa, rispetto a quella che riguarda l’assetto del territorio sotto il profilo edilizio […].

Va poi ricordato che, secondo la giurisprudenza […] il rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consente la sanatoria urbanistica ex art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi né preclude l’emissione dell’ordine di rimessione in pristino dell’immobile abusivo edificato in zona vincolata.

Poiché l’autorizzazione paesaggistica, secondo l’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio, lo stesso permesso di costruire resta subordinato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica la quale, però, sempre secondo la norma richiamata, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, tranne nei casi dei cd. abusi minori, tassativamente individuati dall’art. 167, commi 4 e 5, D.Lgs. n. 42 del 2004.

Tale preclusione, considerato che l’autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce di conseguenza anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001» (Cassazione penale, sez. III, n. 3258/2023).

Compatibilità paesaggistica postuma: le ipotesi in cui è consentita

 L’articolo 167 del D.lgs. n. 42/2004 («Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria») al primo comma prevede che «in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4»: il richiamato comma quarto reca pertanto le ipotesi tassative in cui è possibile ottenere una cd. «autorizzazione postuma», stabilendo che «l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

  1. per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
  2. per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
  3. per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».

Le medesime ipotesi sono inoltre menzionate dall’articolo 181 («Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa») del D.lgs. n. 42/2004 al comma 1-ter, laddove si prevede che in tali casi, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater e ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 167, non si applica la disposizione di cui al comma 1, a mente della quale «chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’articolo 44, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380».

L’articolo 17 del D.P.R. n. 31/2017 – operando un «Rinvio all’articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» – al primo comma prevede che «nel caso di violazione degli obblighi previsti dal presente decreto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 181 del Codice, si applica l’articolo 167 del Codice. In tali casi l’autorità preposta alla gestione del vincolo e il Soprintendente, nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 167, comma 4, del Codice, dispongono la rimessione in pristino solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere», mentre al secondo comma stabilisce che «non può disporsi la rimessione in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del presente decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica».

Tanto brevemente ricordato, merita di essere menzionata la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha riconosciuto la cd. «compatibilità paesaggistica speciale»: dopo aver richiamato l’attenzione «sul fatto che l’allegato “B” al D.P.R. n. 31/2017 contempla, tra le opere soggette a procedura semplificata di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, svariati interventi che, secondo la lettera dell’art. 167, comma 4, lett. a), sono esclusi dalla possibilità di accedere alla compatibilità paesaggistica», si è sancito che «per gli interventi rientranti nell’allegato B […] la violazione di alcuna delle norme del Regolamento, in particolare la violazione della prescrizione che impone la preventiva acquisizione della autorizzazione paesaggistica in forma semplificata, rimane regolata dall’art. 17 del D.P.R. n. 31/2017, che rinvia all’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004, in tal modo ammettendo la possibilità di acquisire l’autorizzazione paesaggistica postuma (ovvero la compatibilità paesaggistica), anche se l’intervento si sia compendiato nella creazione di superfici utili o di nuova volumetria. Qui si apprezza un contrasto tra tale norma e l’art. 167, comma 4 […] – che invece esclude dalla compatibilità paesaggistica qualsiasi intervento che si sia tradotto in un aumento di superficie o di volumetria utile – che può e deve essere risolto sulla base del principio di specialità».

È stato così statuito che «[…] l’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004, norma generale, deve quindi essere applicato in modo coordinato con le disposizioni speciali del D.P.R. n. 31/2017; pertanto non si può escludere a priori che interventi che si siano tradotti nell’aumento di volumi o di superficie utili siano soggetti all’applicazione dell’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 31/2017».

Con la pronuncia de qua si è peraltro precisato che «la valutazione di compatibilità paesaggistica compiuta ai fini dell’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 31/2017 coincide solo parzialmente con la valutazione di compatibilità paesaggistica “ordinaria”, disciplinata in via esclusiva dall’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004: ciò per la ragione […] che l’art. 17 cit. esprime chiaramente l’intento di evitare la demolizione delle opere soggette al D.P.R. n. 31/2017, ove risulti possibile rendere le opere compatibili con il vincolo paesaggistico, mediante l’adozione di apposite misure», ritenendo di poter affermare «[…] che la valutazione richiesta dall’art. 17, comma 1, cit. comporta una verifica ulteriore rispetto a quella “ordinaria”, imponendo all’amministrazione la ricerca e l’individuazione di misure – ovviamente diverse dalla rimozione – idonee a rendere l’intervento compatibile con il vincolo, nell’ambito di uno sforzo finalizzato al mantenimento di un’opera che, per definizione, deve qualificarsi “di lieve entità”. L’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 31/2017, insomma, anche sul punto in esame deroga alla disciplina generale di cui all’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004, imponendo all’amministrazione competente di valutare la compatibilità paesaggistica in una prospettiva differente, cioè quella del tendenziale mantenimento dell’opera realizzata in assenza della autorizzazione paesaggistica semplificata» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4801/2023)[1].

[1] https://www.brunobianchiepartners.it/2023/07/10/nota-professionale-consiglio-di-stato-sez-vi-sentenza-n-4801-del-2023-compatibilita-paesaggistica-speciale-profili-di-ius-superveniens/