L’ambito di operatività della fiscalizzazione degli abusi edilizi delineato dalla giurisprudenza amministrativa

L’ambito di operatività della fiscalizzazione degli abusi edilizi delineato dalla giurisprudenza amministrativa

 Il D.P.R. n. 380/2001 in ipotesi di interventi edilizi abusivi dispone quale sanzione principale quella demolitoria, sebbene in alcuni casi ed al ricorrere di determinati presupposti si preveda la possibilità di sostituire la sanzione ripristinatoria «monetizzandola»: l’istituto della cd. «fiscalizzazione» può operare, difatti, in via eccezionale, in presenza di opere non sanabili per mancanza del requisito della cd. «doppia conformità».

Parlando di cd. «fiscalizzazione» si è soliti riferirsi alla procedura contemplata sia dal secondo comma dell’articolo 33 («Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità»), sia dal secondo comma dell’articolo 34 («Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire»), sia – sotto distinto profilo – dal primo comma dell’articolo 37 («Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità») del D.P.R. n. 380/2001; un’ulteriore ipotesi – che differisce per presupposti e di cui ci si è già occupati – è rappresentata dalla previsione di cui all’articolo 38 del D.P.R. n. 380/2001 («Interventi eseguiti in base a permesso annullato»).

Gli articoli richiamati prevedono dunque che in luogo della sanzione demolitoria o ripristinatoria venga irrogata una sanzione pecuniaria – secondo i criteri e le modalità di cui alle stesse norme – ed è per tale ragione la cd. «fiscalizzazione» viene talvolta indicata come cd. «monetizzazione» dell’abuso: in proposito si segnalano alcuni precedenti giurisprudenziali che hanno delineato l’ambito di operatività dell’istituto de quo, con precipuo riguardo alle ipotesi di cui agli articoli 33 e 34.

Preme soffermarsi, dunque, su una pronuncia recentemente resa dal Consiglio di Stato con cui si è osservato che «con il termine “fiscalizzazione” dell’abuso, funzionale ad evidenziare sinteticamente e già a livello definitorio la sua sostanziale monetizzazione, si intende un rimedio alternativo eccezionalmente concesso in luogo della demolizione. In particolare, si può accedere alla fiscalizzazione sia in caso di mancanza, totale difformità o variazione essenziale dal titolo riferito ad ristrutturazione edilizia (art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001); sia a fronte di accertata difformità solo parziale dal permesso di costruire (art. 34, comma 2, e 2-bis, che ne ha esteso l’applicabilità anche agli interventi soggetti a s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 01); sia infine all’esito di un annullamento, giudiziale o in autotutela, del titolo stesso (art. 38). Ma non nell’ipotesi, più grave, di avvenuta realizzazione di una “nuova opera” in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o variazione essenziale dallo stesso (art. 31)»

Sul piano dei presupposti oggettivi si è evidenziato che «mentre nel caso di variazione essenziale o totale difformità ovvero di illiceità dell’intervento sopravvenuta all’annullamento del titolo si fa riferimento all’impossibilità di esecuzione, il cui accertamento motivato è demandato espressamente, almeno nella prima ipotesi, ai competenti uffici tecnici comunali (art. 33, comma 2); laddove si tratti di parziale difformità la stessa è limitata alla verifica dell’impatto sulla “parte eseguita in conformità”, che non deve ricavarne pregiudizio».

Ad avviso del Collegio «tale differenza, apparentemente minimale, costituisce un ulteriore tassello a riprova della proporzionalità del quadro delle reazioni dell’ordinamento rispetto al diverso disvalore degli illeciti: ferma restando la priorità sempre e comunque accordata all’opzione ripristinatoria, l’impossibilità di addivenirvi è affidata a più stringenti esigenze complessive di staticità e sicurezza della costruzione nel caso della variazione essenziale o totale difformità, mentre è circoscritta alla sussistenza di esigenze di salvaguardia in quanto tale della parte “buona” del manufatto, in caso di difformità parziale dal titolo, prescindendo, solo in tale ultima ipotesi, dalla tipologia di intervento effettuato (che dunque può anche non essere una ristrutturazione)».

Si è rilevato che «con riferimento agli immobili non vincolati ma ricompresi nelle zone omogenee A di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, la norma prevede un’ulteriore “variabile” procedimentale, ovvero la necessità del previo “parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria” a cura dell’”amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali”», sottolineando che «se si eccettua il caso dell’avvenuta caducazione del titolo, è dunque evidente che la fiscalizzazione costituisce un “castigo” alternativo alla demolizione solo laddove l’abuso sia per così dire parte di un tutto, che comunque il legislatore consente eccezionalmente di preservare: ciò avviene tipicamente sia nel caso in cui ci si discosti in maniera minimale dalle indicazioni del permesso di costruire, sia in quelle in cui, benché la divergenza sia corposa, si tratta comunque di un intervento su patrimonio edilizio preesistente».

Certo è – prosegue la pronuncia – «che essa si basa su presupposti del tutto diversi da quelli che portano all’acquisizione del bene al patrimonio indisponibile quale conseguenza dell’inottemperanza all’ingiunzione a demolire: e ciò per l’evidente ragione che la maggior gravità di queste ultime non consentono mai di tollerare il mantenimento in loco di situazioni di illecito permanente ritenute radicalmente in contrasto con esigenze di buon governo del territorio. Laddove ciò avvenga, infatti, deve trattarsi di una scelta funzionale all’interesse pubblico deliberato dall’organo legislativo del Comune, e successiva all’acquisizione della proprietà alla mano pubblica (art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001)».

Ha rilevato ancora il Collegio come «tale eterogeneità contenutistica trovi piena conferma nelle differenze di declinazione dei relativi procedimenti sanzionatori: gli artt. 33 e 34 del T.u.e. non prevedono affatto la notifica dell’accertamento di inottemperanza per l’evidente ragione che ad essa non consegue la perdita della proprietà. L’iter si ricongiunge in tratti omogenei con riferimento alla demolizione, che nei casi più gravi è successiva all’acquisizione dell’opera, ma grava pur sempre sul Comune, seppure a spese dei responsabili dell’abuso».

Infine, si è finanche precisato con riguardo alle previsioni di cui all’articolo 33 che «in caso di opere eseguite su immobili vincolati (comma 3) non è ammessa alcuna fiscalizzazione, dovendo l’amministrazione competente a vigilare sull’osservanza del vincolo ordinare sempre la restituzione in pristino, indicando criteri e modalità per la relativa effettuazione. Nel caso invece di opere eseguite su immobili, anche non vincolati, ubicati nei centri storici, la individuazione della tipologia di sanzione da applicare, reale o pecuniaria, spetta all’amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali ed ambientali, che si esprime mediante un parere vincolante. Tale tipologia di atto, per il suo contenuto, ha valenza sostanzialmente decisoria, il che implica che il Comune deve attenersi a quanto stabilito dalla suddetta amministrazione. Esclusivamente nel caso in cui il parere non venga reso entro il termine previsto, la competenza si trasferisce all’amministrazione comunale». (Consiglio di Stato, sez. II, n. 806/2024).

Preme inoltre dare atto dell’Ordinanza n. 6865 del 2023 con cui il Consiglio di Stato ha rimesso i seguenti quesiti all’esame dell’Adunanza Plenaria:

«- se con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, di cui all’art. 33, comma 2, debba intendersi il momento di completamento dell’abuso ovvero in cui l’abuso è stato accertato dai competenti uffici pubblici ovvero sia stato denunciato dall’interessato a mezzo della richiesta di un condono o ancora quello di irrogazione della sanzione pecuniaria o demolitoria, intendendosi cioè l’espressione come momento di cessazione dell’abuso;

– se, in mancanza dei decreti ministeriali di determinazione del costo di produzione per la realizzazione degli immobili […] ai fini della determinazione della giusta sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 possa procedersi all’attualizzazione, secondo gli indici ISTAT, al momento di irrogazione della sanzione pecuniaria dei valori risultanti dagli ultimi decreti ministeriali (30 gennaio 1997 e 18 dicembre 1998) ovvero se ancora l’attualizzazione possa essere quanto meno limitata al momento della scoperta dell’abuso o della sua denunzia […]».

Infine, merita di essere ricordato come sia stato di recente ribadito che «la valutazione della sussistenza delle condizioni per la c.d. fiscalizzazione dell’abuso edilizio non costituisce condizione di legittimità dell’ordinanza di demolizione» posto che «l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria va decisa in fase esecutiva dell’ordine di demolizione, nella quale gli interessati ben possono dedurre lo stato di pericolo per la stabilità dell’edificio, e sulla base di un motivato accertamento tecnico. In ogni caso, non spetta all’amministrazione, bensì al destinatario dell’ordine di demolizione che invochi l’applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva, dare piena prova della sussistenza dei presupposti fissati dall’art. 34, d.P.R. n. 380 del 2001 per accedere al beneficio in questione. In particolare, spetta all’istante dimostrare il pregiudizio sulla struttura e sulla fruibilità arrecato alla parte non abusiva dell’immobile dalla demolizione della parte abusiva e che tale pregiudizio sia evitabile esclusivamente con la fiscalizzazione dell’abuso […]» (T.A.R. Catanzaro (Calabria), sez. II, n. 1216/2023).