Maggio 2021: Agibilità Art. 24 D.P.R. 380/2001

La disciplina dell’agibilità, ai sensi del novellato articolo 24 D.P.R. n. 380/2001

Con riferimento al tema dell’agibilità è necessario analizzare l’articolo 24 D.P.R. 380/2001, ai sensi del quale “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata.

A tal fine, ai sensi del secondo comma dell’articolo 24 D.P.R. 380/2001, “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il soggetto titolare del permesso di costruire, o il soggetto che ha presentato la segnalazione certificata di inizio di attività, o i loro successori o aventi causa,” deve presentare allo sportello unico per l’edilizia la segnalazione certificata, per i seguenti interventi: nuove costruzioni, ricostruzioni o sopraelevazioni, totali o parziali e, infine, per gli interventi sugli edifici esistenti che possano influire sulle condizioni precedentemente esposte.

Nei casi summenzionati, qualora non sia presentata la segnalazione è prevista l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 77 a euro 464.

Inoltre, ai sensi del quarto comma della disposizione in esame, ai fini dell’agibilità, la segnalazione certificata può inerire anche:

  1. singoli edifici o singole porzioni della costruzione, purché’ funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all’intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni;
  2. singole unità immobiliari, purché’ siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all’edificio oggetto di agibilità parziale.

Tale segnalazione deve essere accompagnata dalla seguente documentazione:

  1. “attestazione del direttore dei lavori o, qualora non nominato, di un professionista abilitato che assevera la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1;
  2. certificato di collaudo statico di cui all’articolo 67 ovvero, per gli interventi di cui al comma 8-bis del medesimo articolo, dichiarazione di regolare esecuzione resa dal direttore dei lavori;
  3. dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa vigente in materia di accessibilità e superamento delle barriere architettoniche di cui all’articolo 77, nonché all’articolo 82;
  4. gli estremi dell’avvenuta dichiarazione di aggiornamento catastale;
  5. dichiarazione dell’impresa installatrice, che attesta la conformità degli impianti installati negli edifici alle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico prescritte dalla disciplina vigente ovvero, ove previsto, certificato di collaudo degli stessi.”

Orbene, “l’utilizzo delle costruzioni di cui ai commi 2 e 4 puo’ essere iniziato dalla data di presentazione allo sportello unico della segnalazione corredata della documentazione di cui al comma 5. Si applica l’articolo 19, commi 3 e 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241”.1

Inoltre, le Regioni, le Province autonome, i Comuni e le Città metropolitane, nell’ambito delle proprie competenze, devono disciplinare le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e comprensivi dell’ispezione delle opere realizzate.

Recentemente, infine, è stato aggiunto dall’articolo 10, comma 1, lettera n), del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 settembre 2020, n. 120, il comma 7 – bis, ai sensi del quale “la segnalazione certificata può altresì essere presentata, in assenza di lavori, per gli immobili legittimamente realizzati privi di agibilità che presentano i requisiti definiti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, con il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo e con il Ministro per la pubblica amministrazione, da adottarsi, previa intesa in Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione”.

La relazione illustrativa al D.L. 76/2020 specifica che la novella era volta a consentire il rilascio dell’agibilità per gli immobili che non erano dotati di tale certificazione e tuttavia presentavano “adeguati requisiti di sicurezza, igienico-sanitari, di abbattimento delle barriere architettoniche, di risparmio energetico ecc. stabiliti con apposito decreto del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto, assunto di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro della Funzione Pubblica e il Ministro dei Beni Culturali, d’intesa con la Conferenza Unificata.” Inoltre, in detta occasione è stato evidenziato come tale disposizione, presente in talune legislazioni regionali, agevolasse la circolazione dei beni immobili e, di conseguenza, facilitasse la qualificazione del patrimonio edilizio.

In ordine alla tematica in esame, si evidenzia che il Consiglio di stato ha dichiarato che “i certificati di agibilità hanno la funzione di accertare che l’edificio sia stato realizzato nel rispetto di norme tecniche quali la sicurezza, l’igiene, la salubrità (art. 24 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380)”, mentre i titoli edilizi autorizzano la realizzazione delle opere.

Conseguentemente, aderendo all’orientamento della medesima Corte, è stato affermato che “il permesso di costruire ed il certificato di agibilità sono collegati a presupposti diversi e danno vita a conseguenze disciplinari non sovrapponibili, dato che il certificato di agibilità ha la funzione di accertare che l’immobile al quale si riferisce è stato realizzato nel rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente recita l’art. 24 del Testo unico dell’edilizia), mentre il rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche è oggetto della specifica funzione del titolo edilizio”, con la conseguenza che “i diversi piani possano convivere sia nella forma fisiologica della conformità dell’edificio ad entrambe le tipologie normative sia in quella patologica di una loro divergenza” (Consiglio di Stato, V, 29 maggio 2018, n. 3212).

Inoltre, con riferimento alla diversa struttura e funzione dei due titoli è stato dichiarato dalla Corte di vertice amministrativa che tale diversità “esclude non solo che i suddetti certificati possa avere valenza sostitutiva dei titoli edilizi ma anche che possa sorgere un affidamento meritevole di protezione giuridica in ordine alla legittimità degli interventi edilizi effettuati.” 2

Tuttavia, si ricorda che con riferimento al rilascio del certificato di agibilità nella vigenza della disciplina di cui all’articolo 221 del R.D. n. 1265/1934, si è sviluppata la tesi della cd. sanatoria implicita. Atteso che la norma de qua stabiliva che “gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”, in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza amministrativa si è lungamente dibattuto in ordine alla possibilità di ritenere il rilascio del certificato di agibilità quale atto sanante eventuali difformità edilizie riscontrate in sede di rilascio, riportando la stessa certificazione allo schema del cd. atto amministrativo implicito.

Sebbene la dottrina prevalente e la giurisprudenza maggioritaria abbiano ritenuto che il certificato di agibilità – nella vigenza della disciplina de qua – fosse finalizzato esclusivamente alla tutela dell’igienicità, salubrità e sicurezza dell’edificio e non diretto anche a garantire la conformità urbanistico-edilizia del manufatto, non può escludersi che la valutazione effettuata in sede di agibilità presupponesse anche una verifica di conformità edilizia, pur trattandosi di una verifica funzionale al rilascio del certificato e dunque di un accertamento di tipo incidentale.3

D’altra parte, parte della giurisprudenza si è espressa, inoltre, nel senso di affermare l’effetto validante del certificato di abitabilità in quanto condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma anche – come detto – alla conformità edilizia dell’opera, sicché, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del certificato di agibilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni. 4


1Ai sensi del terzo comma dell’articolo 19 L. 241/1990, “l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere, [disponendo la sospensione dell’attività intrapresa e] prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata. Con lo stesso atto motivato, in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell’interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale, l’amministrazione dispone la sospensione dell’attività intrapresa. L’atto motivato interrompe il termine di cui al primo periodo, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l’adozione delle suddette misure. In assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente adottata”.
D’altra parte, il comma 6 bis della medesima disposizione prevede che “nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n.380 , e dalle leggi regionali “.

2Consiglio di Stato sez. VI, 13/01/2020, n. 316.

3A tal riguardo, si evidenzia la sentenza n. 2456 del 2018 del Consiglio di Stato.

4In modo particolare, la Corte di cassazione, ha dichiarato “che nel regime dell’art. 221 t.u.l.s e D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, art. 4 – vedi ora artt. 24 e 25, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – il rilascio del certificato di abitabilità era subordinato alla richiesta del certificato di collaudo, alla certificazione dell’iscrizione dell’immobile al catasto e ad una dichiarazione del direttore dei lavori che doveva certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato (originario o in sanatoria), l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti e che gli atti amministrativi godono di una presunzione iuris tantum di legittimità. Di conseguenza con il rilascio del certificato di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, le suddette condizioni senza necessità della produzione di un certificato ulteriore tanto più che, […], dal permesso di abitabilità risultava che era stata effettuata dall’Ufficio Tecnico del Comune una ispezione che aveva accertato la conformità dell’opera alla concessione in sanatoria.” (Cassazione civile sez. II, 12/10/2012, n. 17498); Analogamente la Corte di cassazione ha ritenuto che “il rilascio del certificato di abitabilità, già nel regime dell’art. 221 del Testo unico delle leggi sanitarie e del D.P.R. n. 425 del 1994, art. 4, ed ora nel regime del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 24 e 25, è condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell’opera, sicchè, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità – per il contraente obbligato a far constare la loro esistenza – di produrre un certificato ulteriore (Sez. 2, Sentenza n. 17498 del 12/10/2012).”(Cassazione civile sez. II, 27/12/2017, n. 30950).