Maggio 2021: Interventi ristrutturazione edilizia realizzati in assenza di pdc o in totale difformità art. 33 d.p.r. 380

Analisi della normativa relativa agli interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da esso, ai sensi dell’articolo 33 D.P.R. n. 380/2001

Con riferimento agli interventi di ristrutturazione edilizia effettuati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità dallo stesso si segnala la disposizione di cui all’articolo 33 D.P.R. n. 380/2001.

In primo luogo la disposizione prende in considerazione gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia previste dal primo comma dell’articolo 10 D.P.R. 380/2001, il quale, a sua volta, prevede che costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 421

Qualora i summenzionati interventi siano realizzati in assenza di permesso o in totale difformità da esso, devono essere rimossi ovvero demoliti e gli edifici debbono essere resi “conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l’ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell’abuso.

Tuttavia, se sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non risulta possibile, “il dirigente o il responsabile dell’ufficio irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all’applicazione della legge medesima, del parametro relativo all’ubicazione e con l’equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell’articolo 16 della medesima legge.

Diversamente, in ordine ad “edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, determinato a cura dell’agenzia del territorio”.

Nell’ipotesi in cui “le opere siano state eseguite su immobili vincolati ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, l’amministrazione competente a vigilare sull’osservanza del vincolo, salva l’applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell’abuso, indicando criteri e modalità diretti a ricostituire l’originario organismo edilizio, ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 a 5164 euro”. 2

Orbene, se invece le opere sono state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell’ufficio deve richiedere all’amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o l’irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma e, nell’ipotesi in cui il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta, il dirigente o il responsabile provvede autonomamente.

In caso di inerzia, troverà applicazione la disposizione di cui all’articolo 31, comma 8 D.P.R. n. 380/2001, statuente che “in caso d’inerzia, protrattasi per quindici giorni dalla data di constatazione della inosservanza delle disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 27, ovvero protrattasi oltre il termine stabilito dal comma 3 del medesimo articolo 27, il competente organo regionale, nei successivi trenta giorni, adotta i provvedimenti eventualmente necessari dandone contestuale comunicazione alla competente autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale.

Ad ogni modo è dovuto il contributo di costruzione di cui agli articoli 16 e 19, rispettivamente disciplinanti il contributo per il rilascio del permesso di costruire e il contributo di costruzione per opere o impianti non destinati alla residenza.

Infine, viene stabilito che la presente normativa si applica anche agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 23, comma 01, 3 realizzati in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in totale difformità dalla stessa.

Con riferimento al secondo comma della disposizione in esame si segnala che il Consiglio di Stato nella statuizione n. 254/2020 ha dichiarato che “l’applicabilità della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 33, comma 2, in deroga alla regola generale della demolizione, propria degli illeciti edilizi, presuppone la dimostrazione della oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, sul piano delle conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio”.

Inoltre, “l’applicabilità, o meno, della sanzione pecuniaria, può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico (v. Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 2018, n. 1063).

Conseguentemente, la valutazione, circa la possibilità di dare corso all’applicazione “della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive” (Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1940). In sintesi, la verifica ex art. 33, comma 2, va compiuta su segnalazione della parte privata durante la fase esecutiva, e non dall’Amministrazione procedente all’atto dell’adozione del provvedimento sanzionatorio.”

Orbene, che il TAR Genova ha stabilito che “il T.U. in materia edilizia disciplina anche l’istituto della “fiscalizzazione” o “monetizzazione” dell’abuso”, il quale può operare in via eccezionale in presenza di opere non sanabili per assenza del requisito della doppia conformità.

In virtù di tale meccanismo il Comune irroga una sanzione pecuniaria, in sostituzione della misura demolitoria reale, in alcuni casi tassativamente contemplati” tra cui rientra l’ipotesi disciplinata dal secondo comma della norma in esame, in cui siano state realizzate ristrutturazioni in assenza o totale difformità dal permesso di costruire e non sia possibile il ripristino dello stato dei luoghi.

In aggiunta, sono ricompresi anche sia il caso in cui “a fronte di un intervento parzialmente difforme dal titolo edilizio, l’abbattimento non possa avere luogo senza pregiudicare la parte di edificio legittimamente costruita (art. 34, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001)” , sia anche l’ipotesi “di permesso successivamente annullato, se siano impraticabili la rimozione dei vizi procedurali o la restitutio in integrum (art. 38 del d.p.r. n. 380/2001) (in argomento cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 19 luglio 2019, n. 5089; Cons. St., sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1470; Cons. St., sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4651; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 10 agosto 2020, n. 3552; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 17 luglio 2020, n. 8258).

Nelle suddette circostanze il pagamento di una sanzione pecuniaria, calcolata secondo i criteri fissate dalle disposizioni sopra indicate, pur non dando luogo ad una sanatoria (ad eccezione dell’ipotesi di titolo rimosso, per espressa previsione dell’art. 38, comma 2, cit.), svolge una funzione di sostanziale regolarizzazione delle opere.5

 


1 Articolo 10, comma 1, lettera c) D.P.R. n. 380/2001.

2 Sul punto si rinviene la Circolare Ministero per i Beni e le Attività culturali del 04/07/2018 – N. 30 ove è stato dichiarato che “per quanto attiene alle sanzioni di cui agli artt. 33 comma 3 e 37 comma 2 del D.P.R. 380/2001 e ss. mm., e ii. si rimanda integralmente alla Circolare n. 2 del 26 febbraio 2010 della DG PABAAC. Tuttavia si ritiene opportuno chiarire che nei casi suddetti viene affidata a questa Amministrazione la sola competenza sanzionatoria normalmente spettante al Comune; viceversa, la classificazione degli interventi edilizi di cui all’art. 3 del D.P.R. 380/2001, continua a ricadere esclusivamente tra le competenze del Comune. Pertanto le Soprintendenze non dovranno procedere autonomamente alla classificazione degli interventi, ma dovranno chiedere agli Uffici Comunali competenti, anche nei casi apparentemente scontati, di comunicare se essi ricadano o meno nell’ambito di applicazione dei citati artt. 33 c.3 e 37 c. 2.“

3 A sua volta il comma 01 dell’articolo 23 D.P.R. 380/2001 prevede che “gli interventi di ristrutturazione di cui all’articolo 10, comma 1, lettera c)”, ossia, “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.

4 Consiglio di Stato sez. VI, n. 254/2020.

5 T.A.R. Genova, (Liguria) sez. I, n. 589/2020.