MAGGIO 2022 Luci vedute ed altre distanze

  1. Luci, vedute ed altre distanze: brevi cenni alle ulteriori disposizioni del codice civile

In aggiunta a quanto sin qui esposto, il codice civile contiene ulteriori norme in materia di distanze nelle costruzioni: ci si riferisce, in primis, alle disposizioni recate dagli articoli 900 e seguenti con riguardo alle cd. «luci» e «vedute», che rappresentano – si rammenta – delle aperture nel muro contiguo al fondo finitimo. La distinzione tra le due è rinvenibile all’articolo 900 c.c., rubricato «Specie di finestre», a mente del quale «le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all’aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente».

Si definiscono «luci» pertanto, quelle aperture che, pur consentendo il passaggio di aria e luce, non permettono, tuttavia, la vista (cd. «inspectio») o quanto meno l’affaccio (cd. «prospectio») sul fondo del vicino (Cassazione civile, sez. II, n. 3924/2016). L’articolo 901 c.c., in tal caso, al fine di tutelare la riservatezza e la sicurezza del fondo contiguo, prevede che le luci che si aprono sullo stesso debbano:

«1) essere munite di un’inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati;

2) avere il lato inferiore a una altezza non minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori;

3) avere il lato inferiore a una altezza non minore di due metri e mezzo dal suolo del fondo vicino, a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l’altezza stessa».

La disciplina appena illustrata attiene alle cd. «luci regolari»: laddove si sia in presenza di un’apertura che non consenta di «inspicere et prospicere in alienum» e che tuttavia non rispetti le caratteristiche di cui al citato articolo 901 c.c., si avrà comunque una «luce», in tal caso detta «irregolare». Il successivo articolo 902 c.c., al primo comma, prevede, difatti, che «l’apertura che non ha i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce, anche se non sono state osservate le prescrizioni indicate dall’articolo 901», pur stabilendo, al secondo comma, che nell’ipotesi de qua «il vicino ha sempre il diritto di esigere che essa sia resa conforme alle prescrizioni dell’articolo predetto».

Quando si parla di cd. «vedute» – altrimenti dette prospetti – ci si riferisce, invece, a quelle aperture che consentono, in condizioni di sufficiente comodità, non solo di guardare sul fondo del vicino («inspicere») senza l’ausilio di mezzi meccanici (quali, ad esempio, scale, sgabelli ecc..), ma anche di sporgere il capo su di esso («prospicere») per vedere di fronte (cd. «vedute dirette»), obliquamente (cd. «vedute oblique») e lateralmente (cd. «vedute laterali»).

Il proprietario può sempre aprire vedute nel muro contiguo al fondo altrui, ma, sempre a tutela della riservatezza del fondo finitimo, deve rispettare distanze minime dal confine indicate negli articoli 905 e 906 c.c., i quali prescrivono quanto segue.

L’articolo 905 c.c., rubricato «Distanza per l’apertura di vedute dirette e balconi», al primo comma stabilisce che «non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo»; al comma secondo prevede che «non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere», mentre al comma terzo dispone che «il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica».

L’articolo 906 c.c., rubricato «Distanza per l’apertura di vedute laterali od oblique» impone di non aprire «vedute laterali od oblique sul fondo del vicino se non si osserva la distanza di settantacinque centimetri, la quale deve misurarsi dal più vicino lato della finestra o dal più vicino sporto».

Il proprietario del fondo contiguo non può chiuderle, anzi se costruisce sul suo deve rispettare le distanze minime indicate dall’articolo 907 c.c., norma rubricata «Distanza delle costruzioni dalle vedute»:  al primo comma la disposizione de qua stabilisce che «quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’articolo 905», aggiungendo, al successivo comma secondo che «se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita», per concludere, al terzo comma, disponendo che «se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia[1]».

Orbene, in secundis, preme rammentare – seppur senza alcuna pretesa di esaustività e per sommi capi – le ulteriori previsioni civilistiche in materia: l’articolo 889 c.c. reca delle prescrizioni in ordine alle «Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi», stabilendo al primo comma che «chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette», mentre al secondo comma sancisce che «per i tubi d’acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine», concludendo, al terzo comma, facendo «salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali»: occorre evidenziare che la norma de qua mira ad evitare il pericolo di infiltrazioni a danno del fondo del vicino, finalità evidentemente diversa dallo scopo della disciplina di cui all’articolo 873 (Cassazione civile, sez. II, n. 10868/2016).

Il successivo articolo 890, rubricato «Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi», sancisce che «chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza»: in tal caso, ratio della richiamata diposizione è quella evitare che fumi nocivi ed intollerabili emessi dalle canne fumarie invadano le abitazioni (Cassazione civile, sez. VI, n. 15441/2021); si ricorda, poi l’articolo 891 c.c. che detta le «Distanze per canali e fossi», imponendo a «chi vuole scavare fossi o canali presso il confine, se non dispongono in modo diverso i regolamenti locali», di «osservare una distanza eguale alla profondità del fosso o canale. La distanza si misura dal confine al ciglio della sponda più vicina, la quale deve essere a scarpa naturale ovvero munita di opere di sostegno. Se il confine si trova in un fosso comune o in una via privata, la distanza si misura da ciglio a ciglio o dal ciglio al lembo esteriore della via».

L’articolo 892 c.c. fissa le «Distanze per gli alberi», prevedendo che «chi vuol piantare alberi presso il confine deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, dagli usi locali. Se gli uni e gli altri non dispongono, devono essere osservate le seguenti distanze dal confine:

  • tre metri per gli alberi di alto fusto. Rispetto alle distanze, si considerano alberi di alto fusto quelli il cui fusto, semplice o diviso in rami, sorge ad altezza notevole, come sono i noci, i castagni, le querce, i pini, i cipressi, gli olmi, i pioppi, i platani e simili;
  • un metro e mezzo per gli alberi di non alto fusto. Sono reputati tali quelli il cui fusto, sorto ad altezza non superiore a tre metri, si diffonde in rami;
  • mezzo metro per le viti, gli arbusti, le siepi vive, le piante da frutto di altezza non maggiore di due metri e mezzo».

La norma prosegue stabilendo, al secondo comma che «la distanza deve essere però di un metro, qualora le siepi siano di ontano, di castagno o di altre piante simili che si recidono periodicamente vicino al ceppo, e di due metri per le siepi di robinie», mentre al terzo comma dispone che «la distanza si misura dalla linea del confine alla base esterna del tronco dell’albero nel tempo della piantagione, o dalla linea stessa al luogo dove fu fatta la semina», prevendendo infine che «le distanze anzidette non si devono osservare se sul confine esiste un muro divisorio, proprio o comune, purché le piante siano tenute ad altezza che non ecceda la sommità del muro».

In ossequio a quanto dispone l’articolo 894 c.c., laddove gli alberi siano piantati o nascano a distanza minore di quelle innanzi indicate, il vicino può esigere che vengano estirpati.

 

[1] A. TORRENTE – P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit.