Marzo 2023 – Condono e vincolo paesaggistico sopravvenuto

In conclusione della presente disamina si ritiene opportuno illustrare la recente pronuncia Consiglio di Stato n. 65/2023 resa in ordine alla disciplina del condono edilizio di cui alla legge n. 47/1985 (cd. legge sul primo condono edilizio) in caso di vincolo paesaggistico sopravvenuto alla presentazione dell’istanza: in particolare, si intende affrontare la questione se, ai fini del condono, sia necessario acquisire il parere dell’autorità tutoria anche per le opere abusive che insistono su aree sottoposte a vincolo dopo la loro realizzazione. [1]

I giudici di Palazzo Spada, nel pronunciarsi sulla tematica de qua, hanno rievocato i principi di diritto affermati dall’Adunanza plenaria n. 20/1999 che ha sancito «la necessità di acquisire il parere dell’autorità tutoria anche per le opere abusive che insistono su aree sottoposte a vincolo apposto dopo la loro realizzazione. Secondo tale statuizione: i) l’uso dei participi passati “eseguite” e “sottoposti”, nell’espressione “opere eseguite su aree sottoposte a vincolo”, utilizzata dal legislatore nell’edizione originaria del primo comma dell’articolo 32 della L. 47/85, non rappresenta sicuro riferimento alla sola ipotesi di opera abusivamente costruita su area già gravata da vincolo nel momento della sua realizzazione; ii) la sussistenza di espressi rifermenti ai vincoli sopravvenuti in alcune delle disposizioni della L. n. 47/1985 non depone per una lettura in senso opposto della previsione che di tale specificazione è priva; al contrario, il silenzio mantenuto in proposito ben può essere significativo proprio dell’intento di non attribuire alcuna rilevanza al momento in cui il vincolo risulti imposto; iii) il riferimento ai vincoli di inedificabilità assoluta istituiti prima della realizzazione degli abusi contenuto all’interno dell’art. 33, comma 1, della L. n. 47/1985, non consente di desumere la sussistenza di una volontà del legislatore di ritenere privi di qualsiasi rilevanza i vincoli, della medesima natura, istituiti in epoca successiva: sia perché un simile ragionare sarebbe privo di logica, a cospetto della rilevanza del vincolo, sia perché si tratta di una situazione che, in realtà, può trovare la sua disciplina nell’articolo 32, che comunque consente astrattamente la sanabilità delle opere realizzate su aree vincolate in epoca successiva, a condizione che vi sia il parere conforme dell’autorità tutoria; iv) i valori tutelati dai vincoli ambientali e paesaggistici non tollerano che la relativa disciplina possa essere determinata da altra fonte se non una norma positiva, non potendo, a tal fine, influire il momento in cui l’interessato ha presentato la domanda di condono o quella di scadenza del termine fissato dal legislatore per la presentazione delle domande di condono; v) di conseguenza, “la disposizione di portata generale di cui all’art. 32, primo comma, relativa ai vincoli che appongono limiti all’edificazione, non reca alcuna deroga a questi principi, cosicché essa deve interpretarsi nel senso che l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente”; vi) inoltre, all’argomento secondo cui, in tal modo, la parte rimane esposta a subire un trattamento differente a seconda della tempistica con cui viene trattata la domanda di condono, l’Adunanza Plenaria replica come segue: “per un verso, […] addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per altro verso, […] l’ordinamento appresta idonei strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell’Amministrazione inerte”».

A fronte di tale insegnamento, il Consiglio di Stato ha evidenziato come sia indispensabile operare una valutazione degli abusi alla luce dei vincoli anche se sopravvenuti ed ha ritenuto che l’operatività del principio elaborato dall’Adunanza plenaria relativo all’interpretazione del disposto di cui all’articolo 32 della L. n. 47/1985 non deve essere limitato alla versione antecedente alle modifiche apportate dalle previsioni di cui all’articolo 2, commi 43 e 44, della L. n. 662/1996.

In proposito, la pronuncia in esame ha richiamato la sentenza Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4683/2022[2] che, dopo aver confrontato le varie versioni dell’articolo 32 della L. 47/1985  (nel dettaglio, quelle vigenti al 1.1.1995, al 1.1.1997 e al 1.1.2003), ha rilevato che «al primo comma, è enunciato il principio per cui “il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo, ivi comprese quelle ricadenti nei parchi nazionali e regionali, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”; solo con la previsione di cui all’art. 2, comma 44, della L. n. 662/1996 si inserisce un comma 3 contenente la seguente disposizione: “Il rilascio della concessione edilizia o dell’autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alle leggi 1° giugno 1939, n. 108929 giugno 1939n. 1497, ed al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, nonché in relazione a vincoli imposti da leggi statali e regionali e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonché dei parchi e delle aree protette nazionali e regionali qualora istituiti prima dell’abuso, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga reso entro centottanta giorni dalla domanda il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione».

Inoltre, è stato evidenziato come «nelle tre versioni del disposto normativo prese in considerazione, si trovi l’identica previsione secondo cui “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: a) in difformità della legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell’art. 35; b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III; c) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 1° aprile 1968 pubblicato nella G.U. n. 96 del 13 aprile 1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico. Qualora non si verifichino le condizioni di cui alle precedenti lettere, si applicano le disposizioni dell’art. 33”».

Le differenze rilevabili tra le tre versioni attengono, piuttosto, al modo in cui è stata disciplinata l’acquisizione del parere di cui al comma 1; infatti: «i) nella versione entrata in vigore al 1 gennaio 1995 si prevedeva la formazione del silenzio rifiuto dopo 180 giorni, fatta eccezione per alcuni casi relativi ad opere non comportanti volumi o superfici, per i quali si prevedeva la formazione del silenzio assenso dopo 120 giorni; ii) nella versione entrata in vigore al 1 gennaio 1997, in vigore sino al 1 ottobre 2003, era enunciata, al comma 1, la regola generale del silenzio assenso, decorsi 180 giorni dalla richiesta di parere, e al comma 3 la regola del silenzio rifiuto, sempre decorsi 180 giorni, per le istanze di condono aventi ad oggetto opere insistenti su aree assoggettate, prima della realizzazione delle opere abusive, ai vincoli di cui alle leggi nn. 1089 e 1497 del 1939, alla legge n. 431/85, nonché a vincoli idrogeologici o a vincoli connessi alla istituzione di parchi nazionali e regionali; iii) infine, nella versione entrata in vigore il 2 ottobre 2003, il legislatore ritorna alla regola generale per cui con il decorso di 180 giorni si forma il silenzio rifiuto sulla richiesta di parere, mentre è confermata la non necessità di esso per le violazioni contenute nel 2 per cento delle misure prescritte».

Alla luce di quanto sopra, ad avviso dei giudici, «la normativa del 2003 non si differenzia per aver introdotto specificamente, per le opere insistenti su aree vincolate solo in epoca successiva alla realizzazione, il parere di compatibilità da parte dell’autorità tutoria: dunque non v’è spazio per supporre che tale parere non fosse necessario in base alla legislazione precedente». Inoltre, anche la previsione che genericamente enuncia la necessità del parere favorevole per le opere abusive “eseguite su aree sottoposte a vincolo”, è rimasta sostanzialmente invariata, e – come precisato già dall’Adunanza Plenaria – il lessico utilizzato rende tale proposizione riferibile sia alle aree vincolate prima della realizzazione degli abusi, sia alle aree vincolate dopo questo momento.

In particolare, la previsione di cui all’articolo 32, comma 3, della L. n. 47/1985, nella versione vigente tra il 1 gennaio 1997 e il 1 gennaio 2003, non introduce un regime differenziato, rendendo obbligatorio il parere dell’autorità tutoria solo per le opere insistenti su aree vincolate in epoca anteriore alla realizzazione delle opere: «è invece evidente, dalla lettura congiunta tra il comma 1 e il comma 3 dell’art. 32 L. 47/85, come modificato dalla L. 662/96, che i vincoli contemplati al comma 3, “qualora istituiti prima dell’abuso”, determinavano, decorsi i 180 giorni dalla richiesta di parere, la formazione di un silenzio rigetto; ciò, tuttavia, non determina l’irrilevanza dei vincoli istituiti in epoca successiva, ben potendo operare, fuori dalle ipotesi contemplate al comma 3, la regola generale enunciata al comma 1 (in base alla quale il decorso dei 180 giorni determinava la formazione del silenzio assenso sulla richiesta di parere), tenuto conto del fatto che tale comma imponeva l’acquisizione del parere favorevole senza distinguere tra aree sottoposte a vincolo prima o dopo la realizzazione delle opere abusive (come rilevato anche dalla Adunanza Plenaria)».

In sostanza, «con le modifiche apportate all’art. 32 della L. 47/85 dalla L. 662/96 il legislatore non ha inteso esonerare dalla necessità del parere favorevole le opere abusive insistenti su aree vincolate in epoca successiva alla loro realizzazione, ma ha piuttosto diversificato le modalità di acquisizione del parere relativamente alle opere realizzate su aree vincolate, stabilendo la regola generale del silenzio assenso, ma derogando a tale regola per i vincoli più rilevanti (quelli indicati al comma 3), imposti in epoca antecedente alla realizzazione delle opere abusive, per i quali reintroduceva la regola del silenzio rifiuto».

Pertanto, «la previsione contenuta all’art. 32, comma 3, della L. 47/85, nella versione vigente dal 1 gennaio 1997 al 1 gennaio 2003 (che, nella prospettiva degli appellanti, renderebbe non operante al caso di specie i principi affermati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato), non può ritenersi utile al fine di ricavare la volontà del legislatore di richiedere il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo solo per le opere realizzate su aree già in precedenza vincolate» in quanto «una diversa conclusione avrebbe potuto essere presa in considerazione solo se con le modifiche apportate con il D.L. 269/2003 il legislatore avesse esplicitato la necessità del parere dell’autorità tutoria per le opere insistenti su aree vincolate in epoca successiva alla loro realizzazione: una simile modifica, infatti, avrebbe fatto sorgere il dubbio che detto parere non fosse necessario in base alla legislazione condonistica previgente, e in ogni caso la non applicabilità delle modifiche introdotte con il D.L. n. 269/2003, affermata dall’art. 32, comma 43 bis, del D.L. n. 269/2003, avrebbe imposto una specifica riflessione sul punto».

Posto che una simile precisazione non è stata introdotta nel corpo dell’articolo 32 della L.  n. 47/1985, nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, «l’Amministrazione competente ad esaminare l’istanza di condono proposta ai sensi delle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994 deve acquisire il parere della Autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi. Inoltre, per quanto sussista l’onere procedimentale di acquisire il necessario parere in ordine alla assentibilità della domanda di sanatoria – a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo – l’Autorità preposta deve esprimere non una valutazione di “conformità” delle opere alle predette previsioni, trattandosi di un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di “compatibilità” paesaggistica dell’intervento edilizio abusivo (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4564Id., Sez. VI, 23 dicembre 2019, n. 8704)». Infatti, «quando le previsioni di tutela sono sopraggiunte alla realizzazione dell’intervento edilizio, la valutazione non potrebbe compiersi come se l’intervento fosse ancora da realizzare, e ciò è tanto più vero nei casi in cui le previsioni di tutela successivamente sopraggiunte ad integrare la disciplina dell’area risultano del tutto incompatibili con la tipologia dell’intervento già realizzato».

In definitiva, «il vincolo sopravvenuto non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’Amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo – anche sulla salvaguardia della pubblica incolumità – e la permanenza in loco del manufatto abusivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1041). Si tratta, inoltre, di valutazioni sindacabili in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2015, n. 5844Id., 28 ottobre 2015, n. 4925Id., 4 giugno 2015, n. 2751)».

 

 

[1] Consiglio di Stato sez. VI, 3 gennaio 2023, n. 65.

[2] Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 giugno 2022, n. 4683.