Marzo 2023 – La fiscalizzazione degli abusi edilizi in presenza di vincoli paesaggistici

Un’ulteriore casistica di rilievo attiene alle ipotesi di cd. «fiscalizzazione» dell’abuso edilizio riconducibili al secondo comma dell’articolo 33 («Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità»), al secondo comma dell’articolo 34 («Interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire») ed al primo comma dell’articolo 37 («Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità») del D.P.R. n. 380/2001, con le quali si prevede – laddove non sia possibile procedere alla regolarizzazione degli abusi – che in luogo della sanzione demolitoria o ripristinatoria venga irrogata una sanzione pecuniaria, secondo i criteri e le modalità di cui alle stesse norme.

La giurisprudenza amministrativa si è mostrata contraria all’operatività di tale meccanismo in presenza di un vincolo paesaggistico: al riguardo giova richiamare una recente sentenza con cui il Consiglio di Stato, confermando un orientamento pressoché costante, dopo aver fornito alcune precisazioni circa l’applicazione del menzionato articolo 34, si è soffermato sulla relativa applicabilità in caso di abusi commessi in area vincolata.

In primo luogo, la sentenza n. 10231 del 21 novembre 2022, ha ricordato che ai sensi dell’ articolo 34, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380/2001  «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. 2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività». (Consiglio di Stato sez. VI, 21 novembre 2022, n. 10231).

La norma, richiamando il concetto di opere eseguire “in conformità”, allude implicitamente al fatto che la parte che può essere pregiudicata dalla demolizione deve risultare già assistita, quantomeno al momento in cui viene ordinata la rimozione delle opere “non conformi”, da un titolo edilizio: diversamente opinando, e quindi ammettendo che la «fiscalizzazione» di un abuso edilizio debba essere valutata anche a salvaguardia di opere abusive la cui legittimità non sia già stata stabilita e cristallizzata in un provvedimento formale, si finirebbe per paralizzare, o comunque per rallentare notevolmente, l’attività sanzionatoria delle amministrazioni comunali, che risponde, per definizione, ad un interesse pubblico.

In proposito, il Consiglio di Stato ha sottolineato che colui che costruisce un’opera abusiva, “innestandola” su un’opera a sua volta abusiva, sceglie da solo di porsi in una situazione illecita foriera di possibili conseguenze dannose, tra le quali una è rappresentata proprio dalla possibilità che l’ordine di demolizione per la parte non sanabile venga emesso a prescindere dalla valutazione relativa alla sanabilità, o meno, dell’altra parte abusiva, mentre un’altra conseguenza dannosa è data dal costo delle opere aggiuntive che si rendono necessarie per eseguire la demolizione senza pregiudizio dell’altra parte. Da questo punto di vista, infatti, l’autore dell’abuso edilizio non sanabile non vanta alcuna legittima aspettativa ad accedere al beneficio della cd. «fiscalizzazione», salvo il caso in cui l’abuso non sanabile si sia innestato su un immobile realizzato sulla base di un titolo edilizio annullato in epoca successiva.

Ciò precisato, in caso di abusi commessi in area soggetta a vincolo paesaggistico, il Consiglio di Stato ha ribadito che «in nessun caso il beneficio della sanzione pecuniaria, concessa ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, può comportare – come sostiene l’appellante – una deroga ai agli artt. 142 e segg. e 167 del D. L.vo 42/2004, legittimando ipso facto il mantenimento di un’opera priva di autorizzazione paesaggistica o di compatibilità ex art. 167 del D. L.vo 42/2004: tale norma, infatti, al comma 1 dispone che la violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, comporta sempre la rimessione in pristino a spese del responsabile, salvo, appunto, che non ricorrano le condizioni per accertare a posteriori la compatibilità ambientale, evidenziando che la tutela dell’ambiente-paesaggio è sempre prioritaria rispetto all’interesse del privato di realizzare e mantenere un’opera edilizia, ancorché conforme alle normativa urbanistica ed edilizia».

Sulla scorta di quanto sopra, «la realizzazione di opere in assenza della dovuta preventiva autorizzazione paesaggistica implica invariabilmente la rimozione: ciò è quanto ha stabilito, in modo incontrovertibile, il legislatore all’art. 167, comma 1, del D.lgs. n. 42/2004, prevedendo al comma 4 alcune limitate deroghe, proprio al fine di consentire la sanatoria di alcuni abusi minori; anche ricorrendo tali deroghe, il mantenimento dell’opera è soggetta al riconoscimento della compatibilità ambientale dell’opera, da parte della Soprintendenza».

Sul punto, è stato altresì evidenziato che la qualificazione delle opere abusive come suscettibili, o meno, di accertamento di compatibilità ambientale ex articolo 167, comma 4, cit., non implica l’esercizio di discrezionalità amministrativa, e così come tale verifica può essere effettuata in sede giurisdizionale, può anche essere effettuata da un Comune nel corso dell’istruttoria di una pratica di sanatoria, senza che ciò implichi invasione della sfera di competenza della Soprintendenza.

Sotto ulteriore profilo, con la sentenza de qua, i giudici di Palazzo Spada hanno ribadito il principio consolidato per la proposizione dell’istanza di accertamento di conformità successivamente all’adozione dell’ordine di demolizione «non incide sulla legittimità della previa ordinanza di demolizione pregiudicandone definitivamente l’efficacia ma soltanto sospendendone gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell’istanza, con il risultato che essa potrà essere portata ad esecuzione se l’istanza è rigettata decorrendo il relativo termine di adempimento dalla conoscenza del diniego».