NOVEMBRE 2023 – Sanatoria in area paesaggistica – Condono edilizio in aree sottoposte a vincolo ambientale – “volume utile” in ambito paesaggistico – compatibilità paesaggistica “speciale”.

Sanatoria in area paesaggistica – Condono edilizio in aree sottoposte a vincolo ambientale – “volume utile” in ambito paesaggistico – compatibilità paesaggistica “speciale”.

 

 

Sanatoria in area paesaggistica: i limiti all’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica.

 

L’articolo 167- rubricato «Ordine di remissione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria» – del D.lgs. n. 42/2004 (cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio») regola le sanzioni amministrative applicabili in caso di realizzazione di abusi paesaggistici, prevedendo al primo comma che «in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4»: i commi 4 e 5 della norma, invero, disciplina la cd. «compatibilità paesaggistica».

 

Per quanto qui di interesse si evidenzia che il comma quarto, in particolare, sancisce che «l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

 

  1. a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

 

  1. b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;

 

  1. c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380»[1].

Come chiarito dalla giurisprudenza, pertanto, «l’art. 167 cit., recante la disciplina delle sanzioni amministrative previste per la violazione delle prescrizioni poste a tutela dei beni paesaggistici, contiene (nella sua attuale formulazione) la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali. La ratio è quella di precludere qualsiasi forma di legittimazione del fatto compiuto, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Il rigore del precetto è ridimensionato soltanto da poche eccezioni tassative, tutte relative ad interventi privi di impatto sull’assetto del bene vincolato.

 

Sono suscettibili di accertamento postumo di compatibilità paesaggistica: gli interventi realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (comma 4)» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 9952/2022).

 

 

Condono edilizio in aree sottoposte a vincolo ambientale e paesistico sopravvenuto.

 

Con la sentenza n. 4683 del 2022 il Consiglio di Stato ha ribadito il principio sancito dall’Adunanza Plenaria n. 20 del 1999, secondo cui nelle domande di condono edilizio è obbligatorio acquisire il parere dell’autorità preposta anche per le opere abusive che insistono su aree assoggettate a vincolo dopo la loro realizzazione[2].

 

La pronuncia in commento ha richiamato, invero, «la decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20/1999, la quale si è pronunciata sulla questione se, ai fini del condono edilizio, sia necessario acquisire il parere dell’autorità tutoria anche per le opere abusive che insistono su aree sottoposte a vincolo dopo la loro realizzazione» precisando che «l’Adunanza Plenaria, ha affermato i seguenti principi:

 

– l’uso dei participi passati “eseguite” e “sottoposte”, nell’espressione “opere eseguite su aree sottoposte a vincolo”, utilizzata dal legislatore nel primo comma dell’articolo 32 della L. 47/85, non rappresenta sicuro riferimento alla sola ipotesi di opera abusivamente costruita su area già gravata da vincolo nel momento della sua realizzazione;

 

– la circostanza, poi, che, quando ha inteso considerare anche il vincolo sopravvenuto al compimento dell’opera, il legislatore lo ha fatto esplicitamente, come nell’art. 32, comma 4, non depone per una lettura in senso opposto della previsione che di tale specificazione é priva: al contrario, il silenzio mantenuto in proposito ben può essere significativo proprio dell’intento di non attribuire alcuna rilevanza al momento in cui il vincolo risulti imposto;

 

– dal fatto che l’art. 33, comma 1, prende specificamente in considerazione i vincoli di inedificabilità assoluta istituiti prima della realizzazione delle opere abusive, non può desumersi la volontà del legislatore di ritenere privi di qualsiasi rilevanza i vincoli, della medesima natura, istituiti in epoca successiva: sia perché un simile ragionare sarebbe privo di logica, a cospetto della rilevanza del vincolo, sia perché si tratta di una situazione che in realtà può trovare la sua disciplina nell’articolo 32, che comunque consente astrattamente la sanabilità delle opere realizzate su aree vincolate in epoca successiva, a condizione che vi sia il parere conforme dell’autorità tutoria;

 

– i valori tutelati dai vincoli ambientali e paesaggistici non tollerano che la relativa disciplina possa essere determinata da altra fonte se non una norma positiva, non potendo a tal fine influire il momento in cui l’interessato ha presentato la domanda di condono o quella di scadenza del termine fissato dal legislatore per la presentazione delle domande di condono: ha precisato, a tale proposito, l’Adunanza Plenaria, che “la cura del pubblico interesse, in che si concreta la pubblica funzione, ha come sua qualità essenziale la legalità: è la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l’esercizio della funzione interferisce. Compito, questo, per altro, che nessun’altra norma può svolgere se non quella vigente al tempo in cui la funzione si esplica (“tempus regit actum”). Ne consegue che la pubblica Amministrazione, sulla quale a norma dell’art. 97 Cost. incombe più pressante l’obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone.”;

 

– di conseguenza, “la disposizione di portata generale di cui all’art. 32, primo comma, relativa ai vincoli che appongono limiti all’edificazione, non reca alcuna deroga a questi principi, cosicché essa deve interpretarsi “nel senso che l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo. E appare altresì evidente che tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (C.S., V, 22 dicembre 1994 n. 1574)”;

 

– all’argomento secondo cui, in tal modo, la parte rimane esposta a subire un trattamento differente a seconda della tempistica con cui viene trattata la domanda di condono, l’Adunanza Plenaria ha infine replicato che “per un verso, che addurre inconvenienti non è un buon argomento ermeneutico e, per altro verso, che, ad ogni modo, l’ordinamento appresta idonei strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell’Amministrazione inerte”».

 

Ciò premesso, il Collegio non ha ritenuto di doversi discostare dagli approdi cui è pervenuta la ricordata decisione, rilevando, inoltre che «confrontando le versioni dell’art. 32, L. 47/85 vigenti al 1 gennaio 1995, al 1 gennaio 1997 e al 1 gennaio 2003 si constata che:

 

(i) al primo comma è enunciato il principio per cui “il rilascio della concessione o della autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo, ivi comprese quelle ricadenti nei parchi nazionali e regionali, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso”; tale principio è enunciato in modo identico in tutte e tre le versioni; solo nella versione modificata dalla L. 662/96, vigente dal 1 gennaio 1997 al 1 ottobre 2003, l’art. 32 contiene anche un comma (comma 3), che si leggeva come segue: “Il rilascio della concessione edilizia o della autorizzazione in sanatoria per opere eseguite su immobili soggetti alla legge 1° giugno 1939, n. 1089,29 giugno 1939, n. 1497, ed al decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni, della legge 8 agosto 1985, n. 431, nonché in relazione a vincoli imposti da leggi statali e regionali, e dagli strumenti urbanistici, a tutela di interessi idrogeologici e delle falde idriche nonché dei parchi nazionali e regionali qualora istituiti prima dell’abuso, è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere non venga reso entro centottanta giorni dalla domanda il richiedente può impugnare il silenzio-rifiuto dell’amministrazione”.

 

(ii) vi si trova poi, in tutte e tre le versioni, l’identica previsione secondo cui “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: a) in difformità della legge 2 febbraio 1974, n. 64, e successive modificazioni, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell’art. 35; b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III; c) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 1° aprile 1968 pubblicato nella G.U. n. 96 del 13 aprile 1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico. Qualora non si verifichino le condizioni di cui alle precedenti lettere, si applicano le disposizioni dell’art. 33”.

 

(iii) le differenze rilevabili tra le tre versioni attengono, piuttosto, al modo in cui è stata disciplinata l’acquisizione del parere di cui al comma 1; infatti: a) nella versione entrata in vigore al 1 gennaio 1995 si prevedeva la formazione del silenzio rifiuto dopo 180 giorni, fatta eccezione per alcuni casi relativi ad opere non comportanti volumi o superfici, per i quali si prevedeva la formazione del silenzio assenso dopo 120 giorni; b) nella versione entrata in vigore al 1 gennaio 1997, in vigore sino al 1 ottobre 2003, è enunciata, al comma 1, la regola generale del silenzio assenso, decorsi 180 giorni dalla richiesta di parere, e al comma 3 la regola del silenzio rifiuto, sempre decorsi 180 giorni, per le istanze di condono aventi ad oggetto opere insistenti su aree assoggettate, prima della realizzazione delle opere abusive, ai vincoli di cui alle leggi nn. 1089 e 1497 del 1939, alla legge n. 431/85, nonché a vincoli idrogeologici o a vincoli connessi alla istituzione di parchi nazionali e regionali; la L. n. 662/96 ha, inoltre, escluso la necessità del parere per le violazioni non eccedenti il 2 per cento delle misure prescritte; c) infine, nella versione entrata in vigore il 2 ottobre 2003, ancora in vigore, il legislatore è ritornato alla regola generale per cui con il decorso di 180 giorni si forma il silenzio rifiuto sulla richiesta di parere, mentre è stata confermata la non necessità di esso per le violazioni contenute nel 2 per cento delle misure prescritte.

 

[…] Quanto sopra evidenzia che:

 

– la normativa del 2003 non si differenzia per aver introdotto specificamente, per le opere insistenti su aree vincolate solo in epoca successiva alla realizzazione, il parere di compatibilità da parte dell’autorità tutoria: dunque non v’è spazio per supporre che tale parere non fosse necessario in base alla legislazione precedente;

 

– anche la previsione che genericamente enuncia la necessità del parere favorevole per le opere abusive “eseguite su aree sottoposte a vincolo”, è rimasta sostanzialmente invariata, e – come precisato dall’Adunanza Plenaria – il lessico utilizzato rende tale proposizione riferibile sia alle aree vincolate prima della realizzazione degli abusi, sia alle aree vincolate dopo tale momento;

 

– in particolare il Collegio ritiene che l’art. 32, comma 3, della L. 47/85, nella versione vigente tra il 1 gennaio 1997 e il 1 gennaio 2003, non ha introdotto un regime differenziato, rendendo obbligatorio il parere dell’autorità tutoria solo per le opere insistenti su aree vincolate in epoca anteriore alla realizzazione delle opere: è invece evidente, dalla lettura congiunta tra il comma 1 e il comma 3 dell’art. 32 L. 47/85, come modificato dalla L. 662/96, che i vincoli contemplati al comma 3, “qualora istituiti prima dell’abuso”, determinavano, decorsi i 180 giorni dalla richiesta di parere, la formazione di un silenzio rigetto; ciò, tuttavia, non determinava l’irrilevanza dei vincoli istituiti in epoca successiva, ben potendo operare, fuori dalle ipotesi contemplate al comma 3, la regola generale enunciata al comma 1 (in base alla quale il decorso dei 180 giorni determinava la formazione del silenzio assenso sulla richiesta di parere), tenuto conto del fatto che tale comma imponeva l’acquisizione del parere favorevole senza distinguere tra aree sottoposte a vincolo prima o dopo la realizzazione delle opere abusive (come rilevato anche dalla Adunanza Plenaria);

 

– in sostanza con le modifiche apportate all’art. 32 della L. 47/85 dalla L. 662/96 il legislatore non ha inteso esonerare dalla necessità del parere favorevole le opere abusive insistenti su aree vincolate in epoca successiva alla loro realizzazione, ma ha piuttosto diversificato le modalità di acquisizione del parere relativamente alle opere realizzate su aree vincolate, stabilendo la regola generale del silenzio assenso, ma derogando a tale regola per i vincoli più rilevanti (quelli indicati al comma 3), imposti in epoca antecedente alla realizzazione delle opere abusive, per i quali reintroduceva la regola del silenzio rifiuto;

 

– dunque, anche la previsione invocata dall’appellante, contenuta all’art. 32, comma 3, della L. 47/85, nella versione vigente dal 1 gennaio 1997 al 1 gennaio 2003, non è utile al fine di ricavare la volontà del legislatore di richiedere il parere favorevole dell’autorità preposta alla tutela del vincolo solo per le opere realizzate su aree già in precedenza vincolate».

 

In definitiva, si è osservato che «una diversa conclusione avrebbe potuto essere presa in considerazione solo se con le modifiche apportate con il D.L. 269/2003 il legislatore avesse esplicitato la necessità del parere dell’autorità tutoria per le opere insistenti su aree vincolate in epoca successiva alla loro realizzazione: una simile modifica, infatti, avrebbe fatto sorgere il dubbio che detto parere non fosse necessario in base alla legislazione condonistica previgente, e in ogni caso la non applicabilità delle modifiche introdotte con il D.L. n. 269/2003, affermata dall’art. 32, comma 43 bis, del D.L. n. 269/2003, avrebbe imposto una specifica riflessione sul punto. Tuttavia una simile precisazione non è stata introdotta nel corpo dell’art. 32, della L. 47/85, e quindi si deve ritenere che il principio enunciato dall’Adunanza Plenaria con la decisione sopra ricordata mantiene attualità corrispondendo alla volontà del legislatore, che altrimenti, nel 2003, sarebbe intervenuto per correggere gli effetti di tale orientamento giurisprudenziale» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4683/2022).

 

Tale impostazione è stata condivisa, più di recente, anche dalla sentenza n. 65 del 2023, nella quale il Consiglio di Stato ha richiamato i medesimi precedenti e ritenuto che «il vincolo sopravvenuto non può considerarsi una condizione ex se preclusiva e insuperabile alla condonabilità degli edifici già realizzati, dovendo l’Amministrazione valutare se vi sia compatibilità tra le esigenze poste a base del vincolo – anche sulla salvaguardia della pubblica incolumità – e la permanenza in loco del manufatto abusivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1041)» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 65/2023) [3].

 

La nozione di “volume utile” in ambito paesaggistico e le differenze rispetto alla nozione urbanistica.

 

Nella giurisprudenza amministrativa si rinvengono differenti orientamenti in ordine alla definizione delle nozioni di «superfici utili o volumi» rilevanti ai fini dell’accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all’articolo 167, commi 4 e 5 del cd. «Codice dei beni culturali e del paesaggio», che – come visto – pone stringenti limiti in tal senso.

 

In proposito preme evidenziare come sia stato ritenuto che «la nozione di superficie e volume utile è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici. Mentre nelle valutazioni di natura urbanistica attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori (che sono consumati da alcune tipologie costruttive, ad esempio l’edificazione fuori terra, e non da altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici), nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell’insieme paesistico (v. TAR Brescia Sez. I 23 febbraio 2016 n. 281; TAR Brescia Sez. I 8 gennaio 2015 n. 14; TAR Brescia Sez. I 15 ottobre 2014 n. 1057)», con la conseguenza che «un volume o una superficie irrilevanti ai fini urbanistici potrebbero creare un ingombro o un impatto intollerabile per il paesaggio, e dunque sarebbe utile in base ai parametri estetici attraverso cui viene data protezione al vincolo paesistico» (T.A.R. Brescia (Lombardia) sez. I, n. 567/2023)[4].

 

 

La compatibilità paesaggistica “speciale” alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato.

 

In conclusione si evidenzia che la VI sezione del Consiglio di Stato ha recentemente reso una pronuncia in tema di accertamento della compatibilità paesaggistica – la n. 4801 del 2023 – destinata a creare un precedente giurisprudenziale di rilievo in ragione delle implicazioni che i principi in essa affermati sono suscettibili di esplicare sulla futura applicazione della disciplina di cui al primo comma dell’articolo 17 del D.P.R. n. 31/2017 («Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata»), a mente del quale «nel caso di violazione degli obblighi previsti dal presente decreto […] si applica l’articolo 167 del Codice. In tali casi l’autorità preposta alla gestione del vincolo e il Soprintendente, nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 167, comma 4, del Codice, dispongono la rimessione in pristino solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere».

 

Mediante il precedente in esame, invero, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito la portata della procedura di compatibilità paesaggistica cd. «speciale» di cui alla predetta norma: dopo aver richiamato l’attenzione «sul fatto che l’allegato “B” al D.P.R. n. 31/2017 contempla, tra le opere soggette a procedura semplificata di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, svariati interventi che, secondo la lettera dell’art. 167, comma 4, lett. a), sono esclusi dalla possibilità di accedere alla compatibilità paesaggistica», si è sancito che «per gli interventi rientranti nell’allegato B […] la violazione di alcuna delle norme del Regolamento, in particolare la violazione della prescrizione che impone la preventiva acquisizione della autorizzazione paesaggistica in forma semplificata, rimane regolata dall’art. 17 del D.P.R. n. 31/2017, che rinvia all’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004, in tal modo ammettendo la possibilità di acquisire l’autorizzazione paesaggistica postuma (ovvero la compatibilità paesaggistica), anche se l’intervento si sia compendiato nella creazione di superfici utili o di nuova volumetria. Qui si apprezza un contrasto tra tale norma e l’art. 167, comma 4 […] – che invece esclude dalla compatibilità paesaggistica qualsiasi intervento che si sia tradotto in un aumento di superficie o di volumetria utile – che può e deve essere risolto sulla base del principio di specialità».

 

È stato così statuito che «[…] l’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004, norma generale, deve quindi essere applicato in modo coordinato con le disposizioni speciali del D.P.R. n. 31/2017; pertanto non si può escludere a priori che interventi che si siano tradotti nell’aumento di volumi o di superficie utili siano soggetti all’applicazione dell’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 31/2017».

 

Con la pronuncia de qua si è peraltro precisato che «la valutazione di compatibilità paesaggistica compiuta ai fini dell’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 31/2017 coincide solo parzialmente con la valutazione di compatibilità paesaggistica “ordinaria”, disciplinata in via esclusiva dall’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004: ciò per la ragione […] che l’art. 17 cit. esprime chiaramente l’intento di evitare la demolizione delle opere soggette al D.P.R. n. 31/2017, ove risulti possibile rendere le opere compatibili con il vincolo paesaggistico, mediante l’adozione di apposite misure», ritenendo di poter affermare «[…] che la valutazione richiesta dall’art. 17, comma 1, cit. comporta una verifica ulteriore rispetto a quella “ordinaria”, imponendo all’amministrazione la ricerca e l’individuazione di misure – ovviamente diverse dalla rimozione – idonee a rendere l’intervento compatibile con il vincolo, nell’ambito di uno sforzo finalizzato al mantenimento di un’opera che, per definizione, deve qualificarsi “di lieve entità”. L’art. 17, comma 1, del D.P.R. n. 31/2017, insomma, anche sul punto in esame deroga alla disciplina generale di cui all’art. 167, comma 4, del D. L.vo 42/2004, imponendo all’amministrazione competente di valutare la compatibilità paesaggistica in una prospettiva differente, cioè quella del tendenziale mantenimento dell’opera realizzata in assenza della autorizzazione paesaggistica semplificata»[5].

 

[1] Ciò posto, deve anche rammentarsi che ai fini dell’applicazione delle sanzioni penali – e relative ipotesi di cd. «sanatoria» – occorre far riferimento all’articolo 181 del medesimo testo normativo, rubricato «Opere eseguite in assenza di autorizzazione o in difformità da essa».

[2] https://www.studiotecnicopagliai.it/condono-edilizio-e-sopravvenienza-vincoli-posteriori-alla-domanda/

[3] https://www.deiurepublico.it/marzo-2023-condono-e-vincolo-paesaggistico-sopravvenuto/

[4] https://www.lavoripubblici.it/news/Volume-utile-dal-TAR-la-differenza-ai-fini-urbanistici-e-paesistici-20051

[5] https://www.brunobianchiepartners.it/2023/07/10/nota-professionale-consiglio-di-stato-sez-vi-sentenza-n-4801-del-2023-compatibilita-paesaggistica-speciale-profili-di-ius-superveniens/