Ottobre 2022 – Validazione rilevanza ed ammissibilita

La cd. «validazione»: rilevanza ed ammissibilità del fenomeno affermatosi in via di prassi anche in considerazione della differenza intercorrente tra la funzione della licenza di abitabilità rispetto all’autorizzazione edilizia per come delineata dalla giurisprudenza

Giunti a questo punto della trattazione non resta che illustrare il rilevante fenomeno della cd. «validazione»: a tal fine occorre porre alcune premesse di ordine normativo, in quanto detto istituto è imperniato su un quadro legislativo ormai risalente nel tempo.

Giova, dunque, richiamare quanto già precisato in merito all’introduzione, nel nostro ordinamento, dell’obbligo di munirsi di licenza edilizia, riconducibile alla cd. «Legge Urbanistica» del 1942 seppur limitatamente ai centri abitati e dove esisteva il piano regolatore comunale; obbligo poi esteso, con l’integrazione di cui alla cd. «Legge Ponte» nel 1967, all’intero territorio comunale.

Deve pure rammentarsi che, in seguito, l’entrata in vigore della L. n. 10/1977 (cd. «Legge Bucalossi»[1]) – la quale ha rappresentato senza dubbio uno spartiacque in tema di edificabilità dei suoli – ha espressamente collegato la facoltà di costruire ad una concessione, emessa dai Comuni all’esito di un’istruttoria connessa ad un procedimento amministrativo attivato ad istanza del privato, così comportando il venir meno di una libertà nelle forme dei provvedimenti fondata sulla stretta correlazione tra facoltà di edificare e diritto di proprietà vantato dal titolare sul proprio fondo.

Per tale ragione, nel periodo precedente alla cd. «Legge Bucalossi», non essendo ancora diffusa la prassi della variante in corso d’opera ai progetti già dotati di licenza edilizia, si è assistito piuttosto frequentemente alla casistica di immobili che hanno ottenuto il rilascio del certificato di abitabilità all’esito del prescritto sopralluogo, sebbene realizzati con delle difformità, rispetto agli elaborati progettuali, da ricondursi alla fase di esecuzione dei lavori: si ricorda, difatti, che in tale epoca la certificazione di agibilità era soggetta alla disciplina di cui all’articolo 221 del R.D. n. 1265/1934, a mente del quale «gli edifici o parti di essi indicati nell’articolo precedente non possono essere abitati senza autorizzazione del podestà, il quale la concede quando, previa ispezione dell’ufficiale sanitario o di un ingegnere a ciò delegato, risulti che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità».

Atteso tutto quanto sopra, in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza si è sviluppata la tesi della cd. «sanatoria implicita», essendosi dibattuto sulla possibilità di ritenere il certificato de quo quale atto sanante eventuali difformità edilizie riscontrate in sede di rilascio, riportando la stessa certificazione allo schema del cd. «atto amministrativo implicito»: sul punto rilievo primario assume, pertanto, la funzione da attribuire al certificato di agibilità emesso nella vigenza della disciplina di cui sopra.

Autorevole giurisprudenza ha ritenuto che «il certificato di agibilità, anche alla luce di tale normativa, fosse finalizzato esclusivamente alla tutela dell’igienicità, salubrità e sicurezza dell’edificio e non fosse diretto anche a garantire la conformità urbanistico-edilizia del manufatto», pur tuttavia ammettendo che «ciò non esclude che la valutazione effettuata in sede di agibilità presupponesse anche una verifica di conformità edilizia, ma, in questo caso, “si tratta di una verifica edilizia funzionale al rilascio della agibilità e svolta quindi nei limiti necessari a inferirne l’assentibilità della agibilità; ben diverso e distinto è il profilo della piena conformità edilizia in quanto tale, sul piano dei titoli edilizi, che non appare ricavabile da un incidentale accertamento compiuto in sede di rilascio della licenza di agibilità”» (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 2456/2018).

Orbene, nonostante alcune pronunce, tra cui quella appena citata – pur riconoscendo che la valutazione effettuata in tale sede presupponesse una verifica, seppur incidentale, di conformità edilizia – si siano mostrate critiche nei confronti dell’operatività del meccanismo de quo  e della configurabilità di una sanatoria (ancorché implicita), deve darsi atto di come altra parte della giurisprudenza si sia espressa, al contrario, nel senso di affermare l’effetto validante del certificato di abitabilità in quanto condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma anche – come detto – alla conformità edilizia dell’opera, sicché – si è sostenuto –  attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del certificato di agibilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni (Cassazione Civile, Sez. II, n. 17498/2012).

Quest’ultima posizione trova, peraltro, una significativa conferma nella prassi amministrativa, che tende ampiamente a riconoscere la suddetta efficacia validante al certificato di agibilità nelle ipotesi richiamate ed al ricorrere delle condizioni indicate: può dirsi, a tal fine, paradigmatica la norma rinvenibile all’articolo 12 del Regolamento Edilizio del Comune di Firenze con cui si prevede che «[…] non necessitano di alcun provvedimento di sanatoria:

  1. le opere realizzate in corso di edificazione in variante dalla Licenza o concessione edilizia, ma non costituenti totale difformità ai sensi dell’art. 7 della L 47/1985, eseguite in data anteriore a quella di entrata in vigore della L. 10/1977 (30 gennaio 1977), e per le quali sia stato rilasciato dall’Amministrazione Comunale Certificato di Abitabilità o agibilità e uso, rilasciato ai sensi del RD 27 Luglio 1934 n. 1265, costituendo il certificato stesso attestazione di conformità di quanto realizzato, salvi gli eventuali interventi ad esso successivamente realizzati […]».

[1] Si rammenta che la cd. «Legge Bucalossi» è entrata in vigore il 30.01.1977.