Tutela del paesaggio: il divieto di incremento dei volumi esistenti –  Autorizzazione paesaggistica: il caso delle opere pertinenziali – silenzio-assenso in materia paesaggistica – Titoli edilizi e autorizzazione paesaggistica

Tutela del paesaggio: il divieto di incremento dei volumi esistenti

 La tutela e la valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio trovano regolamentazione nel D.lgs. n. 42/2004 che, al fine di garantire una concreta ed efficace azione impositiva al regime vincolistico predisposto dall’ordinamento, all’art. 146 limita qualsiasi attività da parte di chiunque si trovi in una relazione qualificata con il bene sottoposto a tutela, subordinando le eventuali attività al preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

In tale prospettazione, va evidenziato che le qualificazioni giuridiche rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio non hanno rilevanza quando si tratta di qualificare le opere sotto il profilo paesaggistico, con conseguente inoperatività della regola che in materia urbanistica porta ad escludere i “volumi tecnici” dal calcolo della volumetria edificabile. Pertanto, “le opere realizzate su aree sottoposte a vincolo hanno un’indubbia rilevanza paesaggistica; rilevanza che è presente anche se si tratta di volumi tecnici o eventuali pertinenze in quanto le esigenze di tutela dell’area sottoposta a vincolo paesaggistico possono anche esigere l’immodificabilità dello stato dei luoghi” (Consiglio di Stato sez. VI, 17/10/2022, n. 8785).

Si rammenta che, in giurisprudenza amministrativa, la nozione di “volume tecnico[1]” corrisponde ad un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità.

In questo senso, nella sentenza del 13/06/2023 n. 5807, il Consiglio di Stato si è pronunciato su una controversia insorta a seguito del diniego alla richiesta di autorizzazione paesaggistica presentata ai sensi dell’art. 146 D.lgs. n. 42/2004 per la realizzazione di una piscina fuori terra  da installare su un terreno pertinenziale del fabbricato di proprietà dei ricorrenti ed ha ritenuto che la stessa, integrando un intervento di nuova costruzione in quanto volumetricamente rilavante, necessitava del previo rilascio del permesso di costruire nonché dell’autorizzazione paesaggistica.

Come sopra anticipato, ad avviso dei giudici, posto che “la nozione di volume utile (come anche di superficie utile) deve essere interpretata (alla luce della circolare del Ministero per i beni e le attività culturali n. 33 del 26 giugno 2009, nonché della prevalente giurisprudenza amministrativa) nel senso di qualsiasi opera edilizia calpestabile e/o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia”, la realizzazione di una piscina ha senz’altro determinato la creazione di volume, ovvero l’aumento di quelli già realizzati.  In questa accezione, il Consiglio di Stato ha più volte enunciato l’importante principio secondo cui Il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova opera comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, sia esso interrato o meno”.

 Autorizzazione paesaggistica: il caso delle opere pertinenziali su un’area tutelata

 Nella trattazione della casistica in discorso appare interessante soffermarsi ulteriormente sulle prescrizioni imposte nella realizzazione di interventi edilizi in area tutelata, con particolare riferimento all’esecuzione di interventi edilizi rientranti nel perimetro applicato del già richiamato art. 6 del D.P.R. n. 380/2001 che, nell’elencare una serie di opere eseguibili senza alcun titolo abilitativo, ne subordina in ogni caso la realizzazione al rispetto delle disposizioni contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.lgs. n. 42/2004, con conseguente abusività delle stesse nel caso in cui non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesaggistica.

Il questo senso, il Consiglio di Stato si è recentemente pronunciato circa la legittima realizzazione di una tettoia con doghe in legno a copertura di un balcone – in sostituzione di una preesistente tettoia in ondulino di plastica – senza il preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica giudicando tale manufatto incompatibile con la tutela paesaggistica della zona. Invero, come correttamente osservato dal T.A.R. adito, all’interno di un territorio protetto “anche opere astrattamente riconducibili al concetto di pertinenza -se realizzate senza titolo- debbono comunque sottostare a misure ripristinatorie e di reintegro ambientale […]. Laddove gli illeciti edilizi ricadano in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore, gli stessi risultano soggetti alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che, quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera DIA, l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna autorizzazione paesistica” (Consiglio di Stato sez. VII, 06/11/2023, n.9557).

 Ed invero, “l’art. 27, d.P.R. n. 380/2001 impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesistico”. “Infatti, per le opere abusive eseguite in assenza di titolo edilizio e di autorizzazione paesaggistica in aree vincolate, vige un principio di indifferenza del titolo necessario all’esecuzione di interventi in dette zone, essendo legittimo l’esercizio del potere repressivo in ogni caso, a prescindere, appunto, dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio nella zona vincolata; ciò che rileva, ai fini dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in zona vincolata e in assoluta carenza di titolo abilitativo, sia sotto il profilo paesaggistico che urbanistico[2]”.

Il controverso tema del silenzio-assenso in materia paesaggistica: le indicazioni del Consiglio di Stato

 La pronuncia Consiglio di Stato sez. IV 02/10/2023 n. 8610 ha decretato il necessario appianamento del contrasto sorto in seno alla giurisprudenza amministrativa circa l’applicabilità del silenzio-assenso cd. “orizzontale[3]” agli atti di tutela degli interessi sensibili e segnatamente al parere paesaggistico reso tardivamente nel corso di una conferenza dei servizi indetta ai sensi dell’art. 14-bis della legge 241/1990. Trattasi di una questione strettamente correlata a quella dell’applicabilità o meno al procedimento di autorizzazione paesaggistica dell’art. 17-bis della legge n. 241/1990 relativo al silenzio endo-procedimentale.

I giudici di Palazzo Spada, dopo aver ripercorso il quadro normativo[4] e giurisprudenziale[5] di riferimento, hanno affermato che l’orientamento che esclude l’operatività del meccanismo del silenzio-assenso di cui all’art. 17-bis della legge n. 241/1990 in relazione alle fattispecie di tutela degli interessi paesaggistici incontra obiezioni difficilmente superabili.

In primo luogo, non è ritenuta convincente l’attribuzione alla Soprintendenza nell’ambito del procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di un ruolo meramente consultivo dal momento che trascura il delicato equilibrio sotteso all’art. 146 D.lgs. n. 42/2004, che si traduce nel carattere necessariamente vincolante del parere reso dalla Soprintendenza coerentemente al riparto delle funzioni legislative sancito dall’art. 117 cost. Tale impostazione, che trova conferma sul piano sistematico negli artt. 16 e 17 e nell’art. 17-bis della legge n. 241/1990 aventi rispettivamente a oggetto i pareri istruttori (e le valutazioni tecniche) e quelli decisori, ha notevoli implicazioni sul relativo regime normativo in quanto solo con riferimento ai pareri meramente istruttori di cui al citato art. 17 il legislatore ha ritenuto non configurabile il silenzio-assenso; “La ragione risiede, all’evidenza, nella circostanza per cui in tale caso l’autorità decidente è unica e, quindi, per definizione non indefettibile. Di contro, nella fattispecie di cui all’art. 17-bis si configura una decisione a “doppia chiave” e dunque un’ipotesi di cogestione della funzione (cd. decisione pluristrutturata)”, in cui l’eventuale silenzio serbato dall’autorità co-decidente consolida la scelta dell’autorità procedente, che è comunque dotata di competenza (sia pure non esclusiva) in materia[6].

Del pari, l’indirizzo restrittivo non si concilia con le lettere e con le ragioni giustificative degli artt. 14-bis e 17-bis della legge n. 241/1990 con cui il legislatore ha cercato di raggiungere un delicato punto di equilibrio tra la tutela degli interessi sensibili e la, parimenti avvertita, esigenza di garantire una risposta entro termini ragionevoli all’operatore economico che, diversamente opinando, rimarrebbe esposto al rischio dell’omissione burocratica. Del resto, “a sostegno della conclusione per cui le disposizioni di cui agli artt. 14-bis e 17- bis sono animate da un’analoga ragione giustificatrice, merita di essere richiamata la decisione della Corte costituzionale n. 246/2018 (cfr. par. 4.2.3.1.) nella quale è stato chiarito che l’art. 17- bis, sebbene collocato al di fuori degli articoli espressamente dedicati alla conferenza di servizi (artt. 14-14-quinquies), trova applicazione anche nel caso in cui occorra convocare la conferenza di servizi in quanto il silenzio assenso di cui all’art. 17-bis opera sempre (anche nel caso in cui siano previsti assensi di più amministrazioni) e, se si forma, previene la necessità di convocare la conferenza di servizi”.

E’ stato osservato inoltre come le esigenze di completezza dell’istruttoria non sono incise dal silenzio-assenso e non possono essere invocate per limitarne l’applicazione in quanto, come statuito da Corte Costituzionale n. 160/2021, “il silenzio assenso ex art. 17-bis non riguarda la fase istruttoria del procedimento amministrativo – che rimane regolata dalla pertinente disciplina positiva –  influendo soltanto sulla fase decisoria, attraverso la formazione di un atto di assenso per silentium; per l’effetto l’amministrazione procedente è sempre tenuta a condurre un’istruttoria completa ed a elaborare uno schema di provvedimento da sottoporre all’amministrazione codecidente. In tale prospettiva, l’assenso del Soprintendente sulla proposta di accoglimento ricevuta dall’amministrazione procedente si forma per silentium, ma ciò non esonera quest’ultima dalla necessità di concludere il procedimento con una decisione espressa”.

 Sulla scorta di quanto sopra, la natura vincolante del parere garantisce che lo Stato mantenga un ruolo determinate rispetto al merito della procedura autorizzatoria; dall’altro che, nell’ipotesi in cui l’amministrazione interpellata sia rimasta inerte, l’amministrazione procedente valuti comunque l’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione interpellata assumendo, all’esito della formazione del silenzio-assenso ex art. 17-bis, una decisione conclusiva del procedimento che tenga in debita considerazione anche l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso implicitamente acquisto.

 In tale composito quadro, non può nemmeno dirsi decisiva l’obiezione che fa perno sulla considerazione per cui, applicando lo schema del silenzio-assenso al parere paesaggistico della Soprintendenza verrebbe sacrificato il principio della competenza, inibendo alla stessa di tutelare l’interesse paesaggistico successivamente alla scadenza del termine entro il quale avrebbe dovuto rendere il proprio parere in quanto  “la competenza della Soprintendenza resta garantita sia pure entro termini stringenti entro i quali deve esercitare la propria funzione. Cionondimeno, in caso di mancata attivazione entro i termini, resta ferma la possibilità della Soprintendenza di poter agire in autotutela secondo il principio del contrarius actus […]in base al quale l’eventuale esercizio dell’autotutela deve seguire il medesimo procedimento d’emanazione dell’atto che si intende rimuovere o modificare”.

A seguito della summenzionata ricostruzione, i giudici di Palazzo Spada concludono affermando che, anche a voler prescindere dai rilievi formulati, la recente introduzione del comma 8-bis all’art. 2 della legge n. 241/1990[7] ha sancito il definitivo superamento dell’indirizzo giurisprudenziale contrario all’applicazione del silenzio-assenzo orizzontale al parere paesaggistico, prevedendo che le determinazioni tardive sono prive di effetti nei confronti dell’autorità competente.  La lettera di tale disposizione, riferendosi espressamente alle fattispecie del silenzio maturato nel corso di una conferenza di servizi ex art. 14-bis, e nell’ambito dell’istituto di cui all’art. 17-bis, è inequivocabile nell’affermare il principio – che non ammette eccezioni – secondo cui le determinazioni tardive sono irrilevanti in quanto prive di effetti nei confronti dell’autorità competente, e non soltanto privi di carattere vincolante.

Titoli edilizi e autorizzazione paesaggistica: gli effetti della mancata preventiva acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica

 Il rapporto tra autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire è un rapporto di presupposizione, necessitato e strumentale tra le valutazioni paesaggistiche e quelle urbanistiche, operante anche quando le disposizioni urbanistiche sono dettate tenendo conto pure dei valori paesaggistici di un’area dal momento che la tutela del paesaggio – avente valore costituzionale e funzione di preminente interesse pubblico – è nettamente distinta da quella urbanistica.

Il procedimento del rilascio del nulla osta paesaggistico è un procedimento parallelo e autonomo rispetto a quello per il rilascio del titolo abilitativo edilizio[8] in quanto, come statuito da Consiglio di Stato sez. VI, 20/01/2023, n. 682, “l’autorizzazione paesaggistica ed il titolo edilizio si giustappongono ed i rispettivi apprezzamenti rispondo ad interesse pubblici distinti e tipizzati: l’uno valuta, in forza d’apprezzamento tecnico discrezionale, la compatibilità dell’intervento edilizio proposto, mentre l’altro, con autonomia e specifica istruttoria, accerta la conformità urbanistica-edilizia del manufatto”.

Pertanto, in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, l’autorità procedente titolare della cura degli interessi paesaggistici deve valutare specificamente l’incidenza dell’intervento progettato dal richiedente sul paesaggio in senso lato – e non gli aspetti attinenti alla regolarità urbanistica ed edilizia dell’opera – stante l’autonomia strutturale e funzionale del titolo paesaggistico rispetto a quelli implicanti l’accertamento della legittimità urbanistico-edilizia del medesimo progetto[9].  La medesima autonomia dei profili paesaggistici dagli aspetti urbanistico-edilizi si riscontra nel “diritto vivente” della giurisprudenza costituzionale e penale (della Cassazione), secondo cui i reati in materia edilizia e paesaggistica si riferiscono alla tutela di interessi pubblici e beni giuridici distinti, con tutte le conseguenze in tema di concorso dei reati, cause di estinzione del reato, e via discorrendo[10].

Un’interpretazione contraria, che ammettesse una commistione tra i diversi profili e una “confusione” dei poteri, “si pone in contrasto con il principio di legalità che innerva l’azione amministrativa, perché amplia praeter legem (o contra legem) quello che è l’ambito di competenza dell’amministrazione procedente, in quanto la obbligherebbe a considerare e a pronunciarsi su profili non rimessi, dal legislatore, alla sua cura e al suo apprezzamento”, frustrando “anche ulteriori principi dell’attività amministrativa, quali quelli di non aggravamento del procedimento e di certezza dell’azione amministrativa” (Cons. Stato sez. IV n. 3170 del 2020 cit.)” (Consiglio di Stato sez. IV, 24/03/2023, n.3006).

Sulla scorta di ciò, il possibile rilascio di uno dei due atti di assenso non comporta il necessario rilascio anche dell’altro, come la mancanza del necessario titolo edilizio non consente la realizzazione di un’opera anche se per la stessa è stato rilasciato l’assenso a fini paesaggistici[11]. D’altra parte, “la mancata preventiva acquisizione della autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 146, D.lgs. n. 42/2004, non incide sulla legittimità del titolo edilizio ma sulla sua efficacia, con la conseguenza che i lavori non possono essere iniziati, finché non intervenga il nulla osta de quo” (Consiglio di Stato sez. IV, 04/09/2023, n.8147).

[1] Alla voce n. 31 dell’Allegato A del Regolamento Edilizio Tipo “Sono volumi tecnici i vani e gli spazi strettamente necessari a contenere ed a consentire l’accesso alle apparecchiature degli impianti tecnici al servizio dell’edificio (idrico, termico, di condizionamento e di climatizzazione, di sollevamento, di sicurezza, telefonico ecc.)”.

[2] Consiglio di Stato sez. VII, 06/11/2023, n.9557.

[3] Da distinguere dal cd. silenzio-assenso “verticale”, il quale contrasta con il generale principio stabilito dall’art. 20, comma 4 della legge n. 241/1990 che esclude radicalmente l’applicazione del silenzio-assenso nei rapporti verticali tra privati e P.A. preposte alla tutela degli “interessi sensibili”, tra cui quelli relativi agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico. Sul punto, cfr. Corte cost. n. 160/2021 che, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 8, comma 6 della L.R. Siciliana n. 5/2019 che aveva introdotto il silenzio-assenso verticale sulla domanda di autorizzazione paesaggistica, ha formulato argomentazioni significative a sostegno della compatibilità costituzionale dell’applicazione del silenzio-assenso orizzontale agli interessi paesaggistici.

[4] Anteriormente alla cd. “riforma Madia” (legge n. 124/2015) in base all’articolo 146 del D.lgs. n. 42/2004 l’autorità competente alla gestione del vincolo doveva provvedere sulla domanda del privato entro 60 giorni, acquisito il parere del soprintendente, da rendere entro 45 giorni dalla ricezione degli atti. In caso di parere non emesso nel termine suindicato, veniva in rilievo la fattispecie del cd. silenzio devolutivo, nel senso che, decorso inutilmente il termine senza che la soprintendenza avesse comunicato il parere, il comune aveva il dovere funzionale di decidere da solo e doveva provvedere sulla domanda; “tuttavia, il potere della soprintendenza di esprimere il suo parere non si consumava automaticamente allo scadere del termine di 45 giorni per essa previsto, ma solo nel momento in cui il comune chiudeva il procedimento con l’adozione della formale autorizzazione paesaggistica “. Nell’ambito della cd. riforma Madia il legislatore si è marcatamente discostato dalla tradizionale impostazione basata sul riconoscimento di una tutela rafforzata degli interessi sensibili nell’ambito del procedimento amministrativo, la quale si traduceva nella previsione di un regime di specialità nell’uso degli strumenti di semplificazione previsti nella legge n. 241/1990. E in effetti, prima di tale riforma, gli istituti contemplati nel Capo IV, rubricato “Semplificazione dell’azione amministrativa”, l. n. 241 del 1990 – quali la conferenza di servizi (art. 14 e ss.), l’attività consultiva (art. 16), l’acquisizione di valutazioni tecniche (art. 17), la SCIA (art. 19) e il silenzio-assenso (art. 20) – ricevevano nella disciplina generale dei procedimenti coinvolgenti interessi sensibili un’applicazione fortemente attenuata.

[5] Anche successivamente alla riforma de qua parte della giurisprudenza ha continuato a fare applicazione del cd. “silenzio-devolutivo” con la conseguenza che, decorso inutilmente il termine, l’organo statale non era privato del potere di esprimersi, ma il parere della Soprintendenza passava da vincolante a obbligatorio (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 29/03/2021, n. 2640)

[6] Ulteriori indici ermeneutici in favore della tesi della natura co-decisoria del parere della Soprintendenza si ricavano anche dal D.P.R. n. 31/2017 (Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), che, all’art. 11 (Semplificazioni procedimentali), comma 9, prevede espressamente che “In caso di mancata espressione del parere vincolante del Soprintendente nei tempi previsti dal comma 5, si forma il silenzio assenso ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e l’amministrazione procedente provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica“. Tale disposizione è chiarissima nel qualificare il parere (semplificato) della soprintendenza come atto co-decisorio ai sensi dell’art. 17-bis.

[7] L’art. 2, comma 8-bis della legge n. 241/1990 – introdotto dall’art. 12, comma 1, lettera a), legge n. 120/2020 – dispone che  “Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c)17-bis, commi 1 e 320, comma 1, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’articolo 14-ter, comma 7, nonché i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti, di cui all’articolo 19, commi 3 e 6-bis, primo periodo, adottati dopo la scadenza dei termini ivi previsti, sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”.

[8] L’art. 146, comma 4 del D.lgs. n. 42/2004 dispone, infatti, che “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”, mentre il secondo inciso, prevedendo che “fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”, sembra rafforzare il divieto sancito dal comma 2 per cui  “i soggetti di cui al comma 1 hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”.

[9] cfr. fra le tante Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2016 n. 1436; 21 agosto 2013 n. 4234; 27 novembre 2010 n. 8260 e sez. VI, 3 maggio 2022 n. 3446.

[10] cfr. Corte cost. n. 439 del 2007n. 378 del 2007n. 144 del 2007, Cass. pen., sez. III, 22 marzo 2013, n. 13783.

[11] T.A.R. Salerno, (Campania) sez. III, 03/07/2023, n.1607.