Variazioni essenziali: il caso della traslazione dell’area di sedime rispetto a quella assentita –  Abusi edilizi ed ordine di demolizione: a chi può essere indirizzato?

Variazioni essenziali: il caso della traslazione dell’area di sedime rispetto a quella assentita

 L’articolo 32 – «Determinazione delle variazioni essenziali» – del D.P.R. n. 380/2001 al primo comma sancisce che «fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:

  1. a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968;

 b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;

 c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;

 d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;

 e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali».

Il comma secondo specifica che non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative, mentre il comma terzo prevede che «gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali».

 Il Consiglio di Stato ha recentemente reso una pronuncia con cui ha rammentato che si è «in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione; si configura invece la difformità parziale quando le ridette modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 104)», evidenziando che «con specifico riferimento al concetto di “modifica sostanziale della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza”, e, quindi, di variazione essenziale assoggettabile a sanzione demolitoria in virtù del combinato disposto degli artt. 31 e 32, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, assume rilievo sia “lo spostamento del manufatto su un’area totalmente o pressoché totalmente diversa da quella originariamente prevista” che “ogni significativa traslazione dell’edificio in relazione alla localizzazione contenuta nelle tavole progettuali, capace di incidere sul rispetto delle prescrizioni normative in tema di distanze minime dalle strade o dai confini nonché sulla destinazione urbanistica dei suoli” (v., ancora, Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 gennaio 2020, n. 104)» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 10918/2022).

 Abusi edilizi ed ordine di demolizione: a chi può essere indirizzato?

 L’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001 disciplina gli «Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali», stabilendo al comma secondo che «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3»: il comma terzo prevede, invero, che «se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune […]».

 In questa sede si intende soffermarsi sui possibili destinatari dell’ordine di demolizione, atteso che la norma richiamata fa riferimento, a tali fini, sia al proprietario, sia al responsabile dell’abuso (comma 2), distinguendo tuttavia tra tali figure in relazione alla sanzione dell’acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime in caso di inottemperanza nel termine di 90 giorni (comma 3).

Il Consiglio di Stato ritiene che «il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di demolizione non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio, ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario, che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi; il soggetto passivo dell’ordine di demolizione viene, quindi, individuato nel soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta; pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 8319/2022).

Al riguardo si segnala, invero, l’orientamento per il quale «l’ordine di demolizione può essere adottato anche nei confronti del proprietario attuale non responsabile dell’abuso, giacché quest’ultimo costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio, non prevedendo l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso (ex multis, Cons. St., sez. VI, 22/11/2022, n. 10266; Cons. St., sez. II, 05/11/2019, n. 7535: “nel caso di realizzazione di opere edilizie abusive, è considerato responsabile anche il proprietario, non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio, ma in virtù del suo rapporto materiale con la res. Egli è, infatti, titolare di obblighi di collaborazione attiva, tra cui rientra senz’altro la rimozione di un abuso edilizio, indipendentemente dal fatto che egli fosse o meno responsabile di tale illecito”.

 Tali principi sono inoltre desumibili dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017, secondo cui “gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato”» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2005/2023).

 Appare interessante segnalare l’orientamento recentemente espresso dal T.A.R. di Roma, secondo cui «per pacifica giurisprudenza, l’ordinanza di demolizione va correttamente indirizzata al responsabile dell’abuso e al proprietario; quest’ultimo, anche se non autore materiale dell’opera, una volta venuto a conoscenza dell’attività illecita svolta da terzi, deve attivarsi contro il responsabile per obbligarlo a rimuovere l’opera abusiva, e se ha la disponibilità del manufatto e dell’area, deve provvedere in proprio all’eliminazione dell’intervento edilizio sine titulo; in mancanza di ciò subisce certamente le conseguenze dell’inottemperanza, tra cui l’acquisizione del bene alla proprietà dell’ente locale […]»: «più precisamente (cfr. Consiglio di Stato, n. 147/2018), ricade sul proprietario l’onere di attivarsi per il ripristino della situazione originaria dei luoghi una volta venuto a conoscenza dell’abuso. Ne consegue che ai fini dell’esenzione del proprietario dalla responsabilità dell’abuso, si richiede pertanto la prova di iniziative dimostrative di un comportamento attivo, da estrinsecarsi in diffide o altre iniziative di carattere ultimativo, anche sul piano della risoluzione contrattuale, nei confronti del conduttore autore dell’illecito edilizio».

 Si è precisato che «al contrario, un comportamento meramente passivo di adesione alle iniziative comunali, con mere dichiarazioni o affermazioni solo di dissociazione o manifestazioni di intenti, senza alcuna attività materiale o almeno giuridica di attivazione diretta ad eliminare l’abuso (per esempio, risoluzione giudiziaria per inadempimento, diffida ad eliminare l’abuso, attività di ripristino, a maggior ragione se l’ordine non viene contestato), non sono sufficienti a dimostrare l’estraneità del proprietario (nello stesso senso, Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2016 n. 4400; Id., 7 agosto 2015 n. 3897,; Id., 4 maggio 2015 n. 2211,; Id., Sez. V, 11 luglio 2014 n. 3565)» (T.A.R. Roma (Lazio), sez. II, n. 1693/2023).

In un precedente del 2022, il T.AR. di Brescia aveva peraltro ritenuto che «[…] nello schema dell’art. 31 comma 2 del DPR 380/2001 l’ordine di demolizione ha come destinatari sia il proprietario dell’immobile dove sono state realizzate le opere abusive, sia l’autore dell’abuso […] l’equiparazione del proprietario all’autore dell’abuso rivela che la misura ripristinatoria ha carattere oggettivo, essendo diretta a reintegrare immediatamente l’ordine urbanistico. Il proprietario non può quindi liberarsi dall’obbligo di rimessione in pristino eccependo l’estraneità all’abuso, o la buona fede circa il comportamento degli esecutori materiali dei lavori», confermando che «l’estraneità all’abuso o la buona fede diventano rilevanti solo quando si passa dal comma 2 al comma 3 dell’art. 31 del DPR 380/2001, ossia quando è necessario valutare in che modo l’ordine di demolizione possa essere ottemperato. È nella fase dell’ottemperanza che il proprietario può distinguere la sua posizione da quella dell’autore dell’abuso, evitando la responsabilità solidale con quest’ultimo e la perdita dell’immobile».

 Nello specifico, il T.A.R. lombardo è stato chiamato a stabilire «se una diffida inviata dal locatore finanziario al locatario o al sublocatario, con invito a rimuovere le opere abusive, corrisponda all’impegno esigibile ai fini dell’esecuzione dell’ordine di demolizione»: a tale quesito «la risposta non può che essere negativa, se questa rimane l’unica attività di persuasione o di pressione esercitata sui soggetti che hanno la disponibilità materiale dell’immobile», questo poiché – «gli interessi di natura urbanistica non possono essere esposti a pratiche qualificabili come abuso del diritto da parte dei proprietari. Tra queste pratiche vi è l’eccessiva autolimitazione delle facoltà del proprietario, che evita l’assunzione di responsabilità e di obblighi nei confronti dell’amministrazione, indebolendo la funzione di garanzia rispetto ai soggetti interposti. Non sono quindi tutelabili gli interessi di quei proprietari che, pur non avendo concesso i beni per un utilizzo vietato dalla disciplina urbanistica (o per un utilizzo che prevedibilmente sarebbe stato in contrasto con la disciplina urbanistica), abbiano però omesso di esercitare un efficace controllo nel corso del rapporto», con la conseguenza che «qualora il locatore finanziario, nel contratto o nell’esecuzione, abbia ristretto il proprio ruolo a quello di semplice finanziatore, disinteressandosi della coerenza tra l’utilizzo dell’immobile e la disciplina urbanistica, e rinunciando a far valere la risoluzione del contratto in caso di difformità, non è sufficiente l’invio di semplici diffide ai locatari per evitare la perdita della proprietà ai sensi dell’art. 31 comma 3 del DPR 380/2001. In realtà, le diffide possono costituire un primo passo, ma solo la risoluzione del contratto consente al proprietario di rientrare nel possesso dei beni, e di procedere successivamente alla demolizione».

Si è quindi osservato «un disaccoppiamento tra il termine di ottemperanza stabilito nell’ordine di demolizione, che riguarda il soggetto nel possesso degli immobili, e i termini entro cui il proprietario deve rispettivamente avviare e concludere le iniziative legali finalizzate al recupero della disponibilità dei beni. I termini che riguardano il proprietario sono stabiliti dall’amministrazione sulla base delle circostanze concrete, e fanno parte di una distinta valutazione circa l’inerzia tollerabile. In effetti, come non è ammissibile un abuso del diritto sostanziale, parimenti non è ammissibile un abuso dei rimedi giurisdizionali, che si può ipotizzare quando la gestione degli stessi avvenga con modalità chiaramente dilatorie. Sarà quindi l’amministrazione a decidere se il proprietario stia facendo tutto quello che è nelle sue possibilità per recuperare gli immobili e ripristinare una situazione conforme alla disciplina urbanistica […]» (T.A.R. Brescia (Lombardia), sez. II, n. 702/2022).

Si rinvengono, infine, precedenti giurisprudenziali in cui si è affermato che «il mero possessore o gestore di un bene immobile altrui, interessato da opere edilizie abusive, non può essere destinatario dell’ingiunzione di demolizione, quando non sia accertato che l’abuso sia a lui ascrivibile (Cons. Stato, Sez. VI, 9/6/2023, n. 5707)»: difatti, si è sostenuto che debba considerarsi, «da una parte, che la mera utilizzazione di un’opera edilizia abusiva non costituisce in sé illecito punibile, anche se vi sia consapevolezza della natura abusiva dell’opera; dall’altra che il mero gestore di un bene, di regola, non ha titolo per disporne, mentre il fatto di indirizzare l’ingiunzione di demolizione al mero possessore o detentore, sul mero presupposto che ha la disponibilità materiale dell’immobile su cui insistono gli abusi e che perciò ne trae vantaggio, significa, in pratica, rendere l’utilizzatore responsabile per un fatto a lui non ascrivibile».

 Del resto – nota ancora la pronuncia in commento – l’articolo 31, comma 1 del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che l’ingiunzione di demolizione va indirizzata al proprietario o al responsabile «e se il legislatore avesse voluto porre in posizione di garanzia qualsiasi utilizzatore di un’opera edilizia abusiva, ancorché non proprietario né responsabile, l’avrebbe esplicitato in altro modo»: in tal senso è stato dunque ricordato come la giurisprudenza si sia recentemente pronunciata sostenendo che «ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001,”la demolizione o la rimozione dell’opera abusiva va ingiunta al proprietario e al responsabile dell’abuso” e che “il fatto di utilizzare un’opera edilizia abusiva non può considerarsi sufficiente a fondare il titolo di responsabilità e, conseguentemente, la legittimazione passiva all’ingiunzione di demolizione, ben potendo essere l’utilizzatore un terzo completamente estraneo alla realizzazione dell’opera abusiva ed alla relativa proprietà” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20/6/2022, n. 5031).

 La questione, poi, non è priva di rilevanza, in quanto l’art. 31, comma 4 bis, del D.P.R. n. 380/2001, prevede che sia irrogata una sanzione amministrativa pecuniaria al destinatario dell’ingiunzione di demolizione che non abbia ottemperato: pertanto la censura è di interesse anche nel caso in cui l’ingiunzione sia stata legittimamente adottata nei confronti di altro destinatario» (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 9014/2023)[1].

 

[1] https://www.lavoripubblici.it/news/ordine-demolizione-destinatarii-provvedimento-32101